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Feb 5, 2012 - Economia, Giustizia, Politica    Commenti disabilitati su Ho trovato una frase di Enrico Berlinguer…

Ho trovato una frase di Enrico Berlinguer…

Enrico Berlinguer
Credete che se fosse in vita, voterebbe per questa gente?

 

               PD

Chi lo ricorda e lo ha apprezzato, se ne dovrebbe ricordare quando sarà chiamato a scegliere i rappresentanti.

Ago 27, 2010 - Politica    1 Comment

Commissioni parlamentari……

Fiamma NirensteinMa esiste la commissione contro i siti internet?

Un amico parlamentare ci manda questa rettifica, che volentieri pubblichiamo

Maurizio Blondet ha ripetutamente scritto che la Nirenstein «presiede la Commissione Affari Costituzionali della presidenza del Consiglio e la Commissione Esteri e Interni della Camera».

Ora, va beh che i lorsignori hanno tanto potere, ma non esageriamo!!!

Non esiste una «Commissione Affari Costituzionali della Presidenza del consiglio» (così si dedurrebbe, secondo la dicitura usata); ve n’è una della Camera e una del Senato; il suo nome esatto è:

I COMMISSIONE AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI

– l’onorevole Nirenstein non è presidente della commissioni Affari Costituzionali della Camera;
– ovviamente, non esiste una commissione «esteri e interni» della Camera; esiste invece una commissione Affari Esteri della Camera;
– l’onorevole Nirenstein non è la presidente della Commissione Affari Esteri della Camera (presieduta invece dal leghista Stefani), bensì la vicepresidente.
– l’onorevole Nirenstein ha presieduto la riunione delle Commissioni I e III del 22/4 e del 25/5 u.s., in supplenza dei presidenti della I (Donato Bruno) e della III Commissione, opportunamente assenti.

Posso capire l’inesattezza: io lavoro qui in Parlamento, ne conosco il sistema e i meccanismi, che ovviamente (nella loro elefantiaca complessità) sono ignorati dai cittadini, compresi quelli che si occupano di politica.

Fra l’altro, anch’io su altri aspetti non ho ben chiara la situazione: non mi risulta infatti che esista una Commissione sull’antisemitismo (per creare una nuova commissione parlamentare occorre specifico provvedimento e voto della Camera); credo invece che si tratti di un comitato creato in seno alla I Commissione Affari Costituzionali nell’ottobre scorso, formato dai membri della I e della III Commissione (Affari Esteri e Comunitari) in seduta comune.

La Commissione Esteri è ad alta densità di sionisti – Nirenstein, Ruben, Colombo – e filo-sionisti di complemento – Farina, Malgieri, Volontè, Zacchera, Adornato, La Malfa, Pianetta, ecc.).

Certo è che lo stesso sito della Camera non riporta, fra i Comitati di indagine esistenti, uno sull’antisemitismo…

La solita opacità lobbystica. L’opacità è confermata dal fatto che nè io, nè la massima parte dei colleghi deputati e senatori, non sanno nulla di questo comitato, nè vi sono stati invitati.

Lettera firmata

Dunque a quanto pare non esiste una Commissione Parlamentare sull’Antisemitismo. E’ qualcosa che la signora ha creato all’interno della presidenza del Consiglio: la quale, sotto Berlusconi, è diventata un mostro che dilapida 4 miliardi di euro annui dei contribuenti, e di cui il ‘Pirla’ ha fatto il suo ‘ministero del fare’, del far male e del malaffare (vedi Bertolaso & Escorts). Sulla spesa (enorme) della presidenza del Consiglio non c’è controllo esterno nè obbligo di rendiconto: di fatto è un immane ‘fondo nero’, da cui chi è ben posizionato può pescare quel che vuole. Se esistesse ancora un giudice a Roma, guarderebbe in questo porcaio con molta attenzione.

Maurizio Blondet

Fonte: EFFEDIEFFE – Sezione FREE
Ago 26, 2010 - Politica    1 Comment

Class Action all’Italiana

<B>Una legge per risarcire i consumatori<br>Ma le lobby frenano la class action</B>Rimborsi da assicurazioni, banche e Tlc. Il ministro Bersani:

“Le aziende devono sapere che avranno schiaffoni e non più buffetti”

STICAZZI! E i pompini che gli fanno? Non erano previsti?

Una legge per risarcire i consumatori

Ma le lobby frenano la class action

Disegno di legge del governo per introdurre anche in Italia le cause collettive
di MARCO PATUCCHI – del 20 Novembre 2006

ROMA – Per l’inizio della battaglia a Montecitorio ormai è questione solo di qualche giorno, giusto il tempo di smaltire le tossine del primo passaggio della Finanziaria. Ma la guerriglia degli schieramenti politici e delle lobby si combatte già da tempo e lascia intuire che lo scontro campale sarà durissimo. In palio c’è l’approvazione della legge italiana sulla class action, lo strumento giuridico che nel resto del mondo, Stati Uniti in primis, ha garantito a interi eserciti di cittadini-utenti il risarcimento dei danni provocati dagli abusi delle multinazionali. E che nel nostro Paese sta agitando i sonni di banche, assicurazioni, gestori telefonici, utility.

Come tradizione, l’Italia arriva buon ultima, a decenni e decenni dalle “crociate” di Ralph Nader, il primo paladino americano delle azioni collettive: e mentre sono già nei libri di storia le cause milionarie vinte dai cittadini americani contro le mistificazioni dei colossi del tabacco e gli errori delle case automobilistiche, qui da noi siamo ancora fermi alle suggestioni letterarie dei romanzi di John Grisham o a quelle cinematografiche di Julia Roberts in Erin Brokovich.

A dire il vero, qualcosa di concreto anche nel nostro Paese si è mosso sull’onda dell’indignazione per gli scandali finanziari degli ultimi anni (da Cirio a Parmalat, dai Tango-bond alle scalate dei “furbetti del quartierino”): sono migliaia, ad esempio, i risparmiatori ammessi come parte civile al processo per il crac dell’impero Tanzi.

Ma solo tra qualche giorno si capirà se davvero governo, maggioranza e opposizione, condividono la volontà di dotare il nostro paese di una legge sull’azione collettiva. “Non vogliamo fare una cosa all’americana, mandando la gente in giro per avvocati – dice Pierluigi Bersani – però le grandi società di servizi e le grandi imprese devono imparare a comportarsi come si deve, perché sappiano di poter ricevere non solo un buffetto ma anche uno schiaffone”. Ed è proprio l'”effetto deterrente” l’obiettivo di fondo del disegno di legge che il ministro dello Sviluppo Economico – di concerto con i colleghi dell’Economia, Padoa-Schioppa, e della Giustizia, Mastella – ha presentato alla Camera e che al momento costituisce il punto di riferimento per il lavoro della Commissione Giustizia dove sono confluite le altre proposte di legge in materia.

L’articolato governativo ricalca quello che, nella passata legislatura, aveva incassato il via libera della Camera prima di arenarsi a palazzo Madama sotto i colpi delle lobby. Ma il salto di qualità del nuovo ddl è notevole. Innanzitutto perché vengono rimossi i paletti settoriali previsti dal precedente progetto di legge che introduceva la class action solo nell’ambito dei servizi finanziari. La proposta del governo, invece, non pone alcun limite, prevedendo “il risarcimento dei danni in conseguenza di atti illeciti relativi a contratti, di atti illeciti extracontrattuali, di pratiche commerciali illecite o di comportamenti anticoncorrenziali, sempre che ledano i diritti di una pluralità di consumatori”. Dunque class action non solo contro banche o assicurazioni, ma anche società telefoniche, dei trasporti, dell’energia. Ed è proprio in questi settori che si verificano gli abusi e gli errori più frequenti, con gli utenti che quasi sempre rinunciano all’azione per evitare spese legali sproporzionate rispetto alla somma del risarcimento.

Così il governo ha scelto il modello “continentale” della class action, che diversamente da quello “anglosassone”, pur ribadendo la tutela costituzionale dell’azione individuale, non lascia al singolo cittadino o a qualsivoglia soggetto la possibilità di attivare l’azione collettiva: la legittimazione, infatti, viene attribuita a “tutte le associazioni dei consumatori e degli utenti, riconosciute dal ministero dello Sviluppo Economico secondo le procedure definite dal codice del consumo (un minimo di 35mila iscritti e sportelli in almeno dieci regioni – ndr), nonché alle associazioni dei professionisti e alle Camere di commercio”.

Altro punto qualificante del ddl è la possibilità assegnata al giudice di andare oltre la semplice condanna dell’azienda, e di stabilire “i criteri in base ai quali deve essere fissata la misura dell’importo da liquidare in favore dei singoli consumatori ovvero stabilire l’importo minimo”. Uno strumento in più a disposizione del cittadino che, eventualmente fallita la conciliazione prevista in coda alla class action, porterà avanti l’azione individuale per la specifica liquidazione del danno subito.

A Montecitorio in questi giorni dovrebbe esserci il colpo d’acceleratore decisivo per la legge. Ma il condizionale è d’obbligo non solo per le distanze maggioranza-opposizione e per le fibrillazioni politiche che attraversano lo stesso centrosinistra. O magari per le lamentele di tutte quelle associazioni tagliate fuori perché non inserite nella lista del Consiglio dei consumatori. La vera incognita è nel condizionamento che sapranno esercitare le grandi aziende, sia attraverso la strategia sotterranea delle lobby parlamentari, sia con il fuoco di sbarramento già attivato dalle varie associazioni di categoria (Confindustria, Abi, Ania, Assogestioni, Assonime…): uno schieramento che, agitando lo spauracchio di “danni distruttivi” per il mercato e tribunali intasati da valanghe di cause, punta a schivare gli schiaffoni evocati dal ministro Bersani.

“C’è squilibrio nel ddl governativo – ha protestato ad esempio l’Ania, l’associazione delle compagnie assicurative – l’impresa convenuta subisce le conseguenze negative della sentenza, ma non trae beneficio dal rigetto dell’istanza collettiva”. E per l’Associazione bancaria va chiarito il modo in cui il giudice è chiamato a certificare l’adeguatezza dell’azione collettiva.

Solo le prime schermaglie di un confronto che si preannuncia durissimo. “Ci prepariamo ad una battaglia lunga e faticosa – dice Alessandro Maran, capogruppo Ds in Commissione Giustizia e relatore del ddl – ma ormai in Parlamento c’è la consapevolezza di dover dare al Paese una legge sulla class action. E così sarà”. Lobby e tenuta della maggioranza permettendo. Ieri il vicepremier, Massimo D’Alema, ha negato contrasti sulle liberalizzazioni fra i ministri Rutelli e Bersani, sottolineando che “sarebbe benvenuta una concorrenza all’interno del governo su chi è più riformatore”. Sta di fatto, però, che mentre l’iter parlamentare sulla class action muove i primi passi, il leader della Margherita ha presentato al premier Prodi un manifesto sulle liberalizzazioni che affronta anche il nodo dell’azione collettiva. Una sovrapposizione di testi poco incoraggiante.


Dal 1° Gennaio 2010 è realtà anche in Italia, ma come al solito, da NOI le cose sono fatte “alla Cazzo” e conseguentemente, posso mettere in risalto due dettagli:
il SINGOLO CITTADINO non può promuovere azione collettiva;
se un’Associazione di consumatori vincesse un’azione collettiva, chi non ha partecipato alla “prima ora”, non potrà effettuare la semplice richiesta con riferimento (come negli USA, tanto tirati in ballo solo per le coglionate comode a Lorsignori), ma dovrà COMUNQUE fare Azione Legale riferendosi a quella collettiva, con EVIDENTE AGGRAVIO DI SPESE.
Ah, DIMENTICAVO che da noi è PRIORITARIO SNELLIRE la giustizia, ma SOLO PER I CAZZI LORO, per quelli inerenti la vita dei Cittadini,….
… be possiamo prendercela nel culo anche stavolta.

Fonte: Repubblica.it
Ago 17, 2010 - Politica    Commenti disabilitati su Prodi: Delbono, una ragazzata

Prodi: Delbono, una ragazzata

Romano Prodi

Prodi: Delbono, una ragazzata.
Bersani: non sono d’accordo

Il professore: “Ma chi comanda ora nel Pd?”

Carte di credito pubbliche per viaggi privati? Bazzecole. Per Romano Prodi quel che ha fatto il sindaco di Bologna, Flavio Delbono, non è niente di così grave. Aprofittare del proprio ruolo per mantenere un’amante, a Bologna, che sarà. E poi si parla di pochi spicci, mica di grandi cifre, come se il problema del sottrarre fondi pubblici fosse nella dimensione e non nell’atto. Il ritorno del Professore sui giornali è segnato da questa brillante affermazione: “Prima di tutto, analizziamo la dimensione del problema. Di cosa si sta parlando? Non si distrugge la vita di un uomo, come è accaduto in questi giorni, per una storia come quella, per una manciata di euro…”.

Libero-news.itLibero-news.it

Sa cosa mi dispiace, soprattutto? Vedere che ormai sembra sempre più debole la ragione dello stare insieme

Romano Prodi lo dice alla moralista e rigida La Repubblica, che in questo caso però soprassiede. “Certo -ammette Prodi- doveva essere più accorto. Ma in questi giorni nessuno si è limitato a dire questo: gli hanno dato del delinquente, invece. Hanno parlato di limite etico travolto. Eppure altrove, per altri amministratori locali di centrodestra che ne hanno combinate di tutti i colori, nessuno ha gridato allo scandalo, e si è mai sognato di chiedere le dimissioni. Allora queste cose le vogliamo dire sì o no?”. A chi Prodi faccia riferimento non è dato sapere. Resta la doppia morale del Pd.

“Ma anche le dimissioni, vede, confermano la differenza di stile di Delbono: ha compiuto un atto di responsabilità verso la città. Ora sarà più libero di dimostrare la sua innocenza, della quale – sottolinea l’ex premier – sono non sicuro, ma sicurissimo. Non era obbligato a dimettersi, ma l’ha fatto. Ha messo il bene comune sopra a tutto, prima delle convenienze personali. Chi altri l’avrebbe fatto? La Moratti, forse?”.

Picconata al Pd- Chi comanda, dunque, nel Pd? La domanda resta inevasa. Il Professore sa che per la successione alla carica di primo cittadino si fa proprio il suo nome: “Ma non ci pensi neanche un momento… Gliel’ho già detto: in politica o si sta dentro, o si sta fuori. E io dentro ci sono già stato anche troppo. Mi riposo, leggo, studio molto, faccio le mie lezioni qui in Italia e in Cina. E sono sereno così”. A chi lo indica come il salvatore della patria replica secco: “Eh no, salvatore della patria no. Va bene una volta, va bene due volte, ma tre volte proprio non si può. Grazie tante, ma abbiamo già dato”. “Sa cosa mi dispiace, soprattutto? E’ vedere che ormai sembra sempre più debole la ragione dello stare insieme”.

Bersani: non sono d’accordo- “Per Prodi ho un affetto e un rispetto inattaccabili, anche quando gli si attribuiscono cose sulle quali posso non essere d’accordo”. Pierluigi Bersani, commenta così le parole di Romano Prodi.

“Delbono ha compiuto un gesto veramente apprezzabile, che testimonia di una persona e una città – dice Bersani – Paese che vai, usanze che trovi; ci sono posti dove esistono altre logiche, ma non lì a Bologna. Un amministratore che dice ‘prima la citta è qualcosa che ci invita a riflettere: prima di tutto la città, prima di tutto l’Italia, chi governa deve rispettare il Paese”. Nel frattempo a Bologna si va a grandi passi verso il voto anticipato. Lo chiede il Pd locale e il ministro dell’Interno, Roberto Maroni si dice “disponibile” in caso di richiesta “unanime”.


Ricordatevi i corsi e ricorsi storici. Il “professore” risalta fuori dal cilindro ogni volta che c’è ODORE DI ELEZIONI.

Vederete che lo riproporranno come il peperone dopo cena!

Fonte: libero-news.it
Ago 11, 2010 - Politica    Commenti disabilitati su STOP al QUORUM!

STOP al QUORUM!

STOP al QuorumA distanza di oltre un anno, il risultato langue nonostante proposte parlamentari e raccolte di firme. La Proposta di Modifica Costituzionale del Sen. Oskar Peterlini (Südtiroler Volkspartei) con data 4 Marzo 2009 langue senza essere neppure calendarizzata.
Il QUORUM nei referendum è quel perverso meccanismo che consente ai politici di prenderci per il culo BEN SAPENDO che MOLTI cittadini sono COGLIONI E NON VANNO A VOTARE!!

Tutti ricordate certamente che già TROPPE volte, alcuni prtiti hanno addirittura SUGGERITO ai propri elettori, in occasione di più referendum, di NON ANDARE A VOTARE, certi del fatto che in tal modo si sarebbero potuti fregiare del “CONSENSO” di quanti in realtà NON votano solo perché non sono interessati a farlo.
Avevo già trattato l’argomento il 6 Ottobre 2008 col mio post: Quorum Referendario, PERCHE’?
Dove evidenziai i risultati dei referendum dell’ultimo ventennio (DAL 1997): SOLDI BUTTATI E BASTA!!

E quei pochi risultati validi negli anni immediatamente precedenti…, COMPLETAMENTE DISATTESI (Privatizzazione RAI) o AGGIRATI (il Finanziamento Pubblico ai Pariti è diventato RIMBORSO ELETTORALE.

18 e 19 aprile 1993 Finanziamento Partiti 77,0% raggiunto 90,3% 9,7% SI Abolizione del finanziamento pubblico ai partiti (secondo tentativo).
11 giugno 1995 Privatizzazione RAI 57,4% raggiunto 54,9% 45,1% SI Abrogazione della norma che definisce pubblica la RAI, in modo da avviarne la privatizzazione.

Tratto da: referendumdemocraziadiretta.it:
Un decalogo contro il quorum di partecipazione         Lunedì 31 Agosto 2009 17:46

1.A causa del quorum, chiunque non si reca a votare conta automaticamente come un “No”, mentre in realtà ci sono tantissimi motivi personali che possono impedire la partecipazione ad un referendum: la mancanza di conoscenza dell’argomento, l’indecisione, il disinteresse e mille altre ragioni private. Nel caso delle elezioni tutti questi motivi sono ragioni di astensione dal voto o della non-partecipazione, ma non equivalgono ad un voto contrario. Nelle elezioni contano solo i voti validi per i partiti e i candidati. Anche la non-partecipazione al voto referendario quindi va considerata per quello che è: un’astensione dal voto senza influenza sul risultato.

2. Attraverso il boicottaggio del referendum la partecipazione al voto scende facilmente sotto il 50% degli aventi diritto al voto richiesto per la validità del risultato della consultazione. Gli oppositori, sfruttando il meccanismo del quorum, cercano di invalidare la consultazione invitando gli elettori a disertare le urne, contando su coloro che non andrebbero comunque a votare. Perciò gli oppositori non devono più convincere i cittadini con argomenti e proposte alternative, ma si fermano ad appelli al boicottaggio. Solo in assenza di quorum contano veramente gli argomenti, perché sia i promotori che gli oppositori sono tenuti a convincere la maggioranza dei cittadini.

3. I cittadini attivi politicamente si impegnano ad informarsi e a farsi un’opinione per poi recarsi a votare. I non interessati e i fautori del boicottaggio non vanno alle urne. In caso di referendum invalidato a causa del mancato raggiungimento del quorum, i primi vengono di fatto puniti per il loro impegno civico, mentre i secondi, boicottatori e disinteressati, vengono premiati per una scelta che di fatto danneggia il confronto democratico.

4. In un certo senso a causa del quorum di partecipazione anche il diritto al voto segreto viene indebolito: chi nonostante un boicottaggio si reca ugualmente alle urne da parte degli oppositori viene automaticamente considerato un avversario politico.

5. In Italia non è previsto quorum nel caso di referendum molto importanti quale il referendum confermativo facoltativo relativo alle leggi costituzionali (art. 138, 2° comma) e nel caso delle leggi sulla forma di governo (leggi elettorali e di democrazia diretta) a livello regionale.

6. Per il voto elettorale a nessun livello governativo è previsto un quorum minimo di partecipazione: solo chi vota può decidere. Non esiste il “numero legale” nelle elezioni politiche.

7. Il timore che una piccola minoranza molto attiva possa imporre i suoi interessi ad una maggioranza passiva non è motivato. Le ricerche sul comportamento degli elettori evidenziano che nelle votazioni contese il tasso di partecipazione è alto e la maggioranza dei cittadini esprime chiaramente il suo rifiuto alla proposta di una minoranza. I partiti e le forze sociali, che pretendono di rappresentare la maggioranza della società, sono comunque sempre liberi di mobilitare i loro sostenitori a votare contro un quesito referendario, che si presume rifletta solo l’interesse di una minoranza.

8. In Svizzera, negli USA, in Baviera ed in altri paesi non esiste il quorum di partecipazione. Nonostante la partecipazione alle votazioni referendarie in Svizzera oscilli “solo” attorno al 40%, nessuna forza politica rivendica seriamente un quorum di partecipazione, sapendo che si aprirebbe un varco a manovre tattiche e a strumentalizzazioni politiche.

9. La democrazia diretta deve promuovere e non scoraggiare la partecipazione dei cittadini. Uno degli obiettivi principali della democrazia diretta è la promozione della partecipazione dei cittadini, ribadita dall’attuale art. 118, comma 4 della Costituzione. Un alto livello di partecipazione non viene raggiunto imponendo l’obbligo legale di raggiungere una quota predeterminata e non è certo perché esiste il quorum che si convincono a votare cittadini non interessati. Avviene invece il contrario: i cittadini interessati e motivati, dopo una serie di esperienze con referendum falliti per mancato raggiungimento del quorum, si sentono frustrati e perdono la fiducia in questo strumento. In questo senso paradossalmente essi sono scoraggiati proprio dal quorum di partecipazione perché si devono confrontare con una fetta di concittadini che boicottano la votazione. È quindi un circolo vizioso. Benché originalmente il quorum fosse  inteso come uno stimolo alla partecipazione, è innegabile che oggi il quorum determini il rifiuto del dibattito e dell’impegno. I gruppi più penalizzati da questo meccanismo sono proprio le minoranze sociali che non riescono a sollecitare ampie fasce di popolazione.

10. Il quorum scaturisce dalla sfiducia nei cittadini. Oggi gli strumenti referendari sono strumenti di partecipazione attiva e non più di sola “difesa in casi estremi”. Le procedure di democrazia diretta devono essere disegnate di modo tale da incoraggiare la comunicazione a tutti i livelli e, in quest’ottica, un quorum di partecipazione, con le relative campagne di boicottaggio, tende ad essere di ostacolo per una buona comunicazione. È più facile rifiutare ogni dibattito, istigando i cittadini a non votare, piuttosto che affrontare di petto un dibattito pubblico e una votazione senza quorum.
Il quorum di partecipazione del 50% non è una norma fondamentale del nostro ordinamento costituzionale, tant’è vero che è previsto solo da uno dei due tipi di referendum nazionali oggi istituzionalizzati. Rifacendosi agli esempi funzionanti in vari altri paesi, in Italia è ora di abolire il quorum di partecipazione sia a livello nazionale, regionale che comunale.

Thomas Benedikter,  autore del volume “Democrazia diretta – Più potere ai cittadini”, Edizioni SONDA, aprile 2008

Fonte: referendumdemocraziadiretta.it
Ago 8, 2010 - Politica    Commenti disabilitati su Non sanno che pesci prendere ….

Non sanno che pesci prendere ….

35202-bersani.jpgTratto da: Il Tempo on-line

Ancora non l’avete capito?

Non sanno più che cazzo inventarsi, sono storditi dalle lamentele sulla Crisi Economica (si, giusto delle lamentele, perché Lorsignori, la crisi NON HANNO IDEA COSA SIA) ED ORA, PER TENERCI “IMPEGNATI” si inventano una Crisi di Governo.

Quell’inqualificabile del Co-Fondatore del PDL, se avesse potuto avere una chanche con i suoi elettori, finalmente soddisfatti per la ridistinzione dal Nanetto tricotrapiantato, ha invece buttato tutto alle ortiche astenendosi durante la votazione sulla sfiducia del sottosegretario Caliendo. Ha perso l’unica occasione di racimolare qualche voto “fresco”.

bocco.jpgAdesso, giusto Bocchino, può votarlo.

Ciopremesso, gli altri non stanno mica meglio, si stracciano le vesti su Niki Vendola, che però NON è gradito a personaggi come la Donna “più Bella che intelligente” ed altri ex DC che ancora tremano all’idea che “toccarsi è peccato” ma farsi fare un lavoretto, anche con qualche riga, basta che non si sappia in giro…

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Elezioni sì, elezioni no
L’opposizione si divide

Di Pietro e Vendola vogliono andare al voto. Bersani e Rutelli preferiscono il governo di transizione. E nel Pd gli ex Ppi pronti a dare battaglia.

Saranno il tormentone dell’estate. Eternamente sospese tra chi le chiede perché le vuole, chi le chiede perché non può in alcun modo dare l’impressione di temerle e chi le teme, quindi, non le chiede. Sono le elezioni anticipate, il nuovo spettro che aleggia sul dibattito politico nazionale. Uno spettro che crea problemi soprattutto nel campo dell’opposizione. A testimonianza che Silvio Berlusconi, nonostante la dipartita della truppa finiana, per ora può dormire sonni tranquilli. Il segretario del Pd Pier Luigi Bersani, infatti, continua a ripetere la sua formula magica: la maggioranza è in crisi, noi non temiamo le urne, ma adesso serve un esecutivo di transizione che cambi la legge elettorale. La priorità indicata non è casuale. I Democratici non hanno un candidato da opporre al premier che, si votasse domani con questo sistema, potrebbe coronare il sogno di guidare il Paese in tandem con la Lega e senza «rompiscatole» (Gianfranco Fini secondo i sondaggi non otterrebbe neanche la percentuale minima per entrare in Parlamento). Ma Bersani deve anche difendersi dall’opa ostile lanciata sul suo partito da Nichi Vendola e Antonio Di Pietro.

Non a caso i due spingono per andare subito alle elezioni. Il primo avrebbe infatti la possibilità di giocarsi la partita della leadership, mentre il secondo potrebbe lucrare voti ai danni del Pd. Non a caso l’ex pm ha inviato una lettera aperta (pubblicata su Repubblica) al leader democratico: «Riteniamo che le opposizioni, piuttosto che affannarsi continuamente nel prefigurare o auspicare cose che non dipendono né da noi né da Voi, quali larghe intese, governi tecnici o governissimi che dir si voglia, dovrebbero senza ulteriori indugi riunirsi e mettere in campo al più presto idee, progetti e uomini che rappresentino l’alternativa al governo. Ricostruiamo, insieme, una coalizione innovatrice e capace di vincere le sfide del cambiamento». Bersani per ora prende tempo («bisogna accorciare le distanze tra le forze di opposizione, ma non si può un giorno darsi i calci negli stinchi e il giorno dopo fare il partito unico, i partiti non si fanno col predellino») anche perché aprire a Di Pietro, o a Vendola, significherebbe dover fronteggiare la rivolta dell’anima ex Ppi del partito.


Stasera [il 10 Agosto scorso n.d.r.] una sessantina di parlamentari si riuniranno al ristorante «La Capricciosa» con Giuseppe Fioroni, nel frattempo lanciano avvertimenti. «Berlusconi e Di Pietro – spiega il senatore Lucio D’Ubaldo – hanno entrambi interesse alle elezioni anticipate. Tutto il ciclo della Seconda Repubblica è dominato dalla puntuale convergenza degli opposti. Fini ha perlomeno un merito: strappando, chiude questo ciclo. Ora è lui che potrebbe guidare l’alternativa a Berlusconi? Se così fosse, dovremmo certificare il fallimento del Pd. Per questo Bersani non può che sbarrare le porte all’avventura vendoliana e dare un contenuto forte alla possibile transizione di governo. Dobbiamo pertanto, senza ambiguità, spostare al centro l’asse della politica riformista». E lungo questa strada il Pd potrebbe trovare un compagno. Francesco Rutelli, infatti, applaude ad una soluzione di transizione. Mentre Pier Ferdinando Casini preferisce parlare di un governo di responsabilità nazionale. Non riescono a mettersi d’accordo manco sui termini.

Nicola Imberti

02/08/2010