Ago 26, 2010 - Politica    1 Comment

Class Action all’Italiana

<B>Una legge per risarcire i consumatori<br>Ma le lobby frenano la class action</B>Rimborsi da assicurazioni, banche e Tlc. Il ministro Bersani:

“Le aziende devono sapere che avranno schiaffoni e non più buffetti”

STICAZZI! E i pompini che gli fanno? Non erano previsti?

Una legge per risarcire i consumatori

Ma le lobby frenano la class action

Disegno di legge del governo per introdurre anche in Italia le cause collettive
di MARCO PATUCCHI – del 20 Novembre 2006

ROMA – Per l’inizio della battaglia a Montecitorio ormai è questione solo di qualche giorno, giusto il tempo di smaltire le tossine del primo passaggio della Finanziaria. Ma la guerriglia degli schieramenti politici e delle lobby si combatte già da tempo e lascia intuire che lo scontro campale sarà durissimo. In palio c’è l’approvazione della legge italiana sulla class action, lo strumento giuridico che nel resto del mondo, Stati Uniti in primis, ha garantito a interi eserciti di cittadini-utenti il risarcimento dei danni provocati dagli abusi delle multinazionali. E che nel nostro Paese sta agitando i sonni di banche, assicurazioni, gestori telefonici, utility.

Come tradizione, l’Italia arriva buon ultima, a decenni e decenni dalle “crociate” di Ralph Nader, il primo paladino americano delle azioni collettive: e mentre sono già nei libri di storia le cause milionarie vinte dai cittadini americani contro le mistificazioni dei colossi del tabacco e gli errori delle case automobilistiche, qui da noi siamo ancora fermi alle suggestioni letterarie dei romanzi di John Grisham o a quelle cinematografiche di Julia Roberts in Erin Brokovich.

A dire il vero, qualcosa di concreto anche nel nostro Paese si è mosso sull’onda dell’indignazione per gli scandali finanziari degli ultimi anni (da Cirio a Parmalat, dai Tango-bond alle scalate dei “furbetti del quartierino”): sono migliaia, ad esempio, i risparmiatori ammessi come parte civile al processo per il crac dell’impero Tanzi.

Ma solo tra qualche giorno si capirà se davvero governo, maggioranza e opposizione, condividono la volontà di dotare il nostro paese di una legge sull’azione collettiva. “Non vogliamo fare una cosa all’americana, mandando la gente in giro per avvocati – dice Pierluigi Bersani – però le grandi società di servizi e le grandi imprese devono imparare a comportarsi come si deve, perché sappiano di poter ricevere non solo un buffetto ma anche uno schiaffone”. Ed è proprio l'”effetto deterrente” l’obiettivo di fondo del disegno di legge che il ministro dello Sviluppo Economico – di concerto con i colleghi dell’Economia, Padoa-Schioppa, e della Giustizia, Mastella – ha presentato alla Camera e che al momento costituisce il punto di riferimento per il lavoro della Commissione Giustizia dove sono confluite le altre proposte di legge in materia.

L’articolato governativo ricalca quello che, nella passata legislatura, aveva incassato il via libera della Camera prima di arenarsi a palazzo Madama sotto i colpi delle lobby. Ma il salto di qualità del nuovo ddl è notevole. Innanzitutto perché vengono rimossi i paletti settoriali previsti dal precedente progetto di legge che introduceva la class action solo nell’ambito dei servizi finanziari. La proposta del governo, invece, non pone alcun limite, prevedendo “il risarcimento dei danni in conseguenza di atti illeciti relativi a contratti, di atti illeciti extracontrattuali, di pratiche commerciali illecite o di comportamenti anticoncorrenziali, sempre che ledano i diritti di una pluralità di consumatori”. Dunque class action non solo contro banche o assicurazioni, ma anche società telefoniche, dei trasporti, dell’energia. Ed è proprio in questi settori che si verificano gli abusi e gli errori più frequenti, con gli utenti che quasi sempre rinunciano all’azione per evitare spese legali sproporzionate rispetto alla somma del risarcimento.

Così il governo ha scelto il modello “continentale” della class action, che diversamente da quello “anglosassone”, pur ribadendo la tutela costituzionale dell’azione individuale, non lascia al singolo cittadino o a qualsivoglia soggetto la possibilità di attivare l’azione collettiva: la legittimazione, infatti, viene attribuita a “tutte le associazioni dei consumatori e degli utenti, riconosciute dal ministero dello Sviluppo Economico secondo le procedure definite dal codice del consumo (un minimo di 35mila iscritti e sportelli in almeno dieci regioni – ndr), nonché alle associazioni dei professionisti e alle Camere di commercio”.

Altro punto qualificante del ddl è la possibilità assegnata al giudice di andare oltre la semplice condanna dell’azienda, e di stabilire “i criteri in base ai quali deve essere fissata la misura dell’importo da liquidare in favore dei singoli consumatori ovvero stabilire l’importo minimo”. Uno strumento in più a disposizione del cittadino che, eventualmente fallita la conciliazione prevista in coda alla class action, porterà avanti l’azione individuale per la specifica liquidazione del danno subito.

A Montecitorio in questi giorni dovrebbe esserci il colpo d’acceleratore decisivo per la legge. Ma il condizionale è d’obbligo non solo per le distanze maggioranza-opposizione e per le fibrillazioni politiche che attraversano lo stesso centrosinistra. O magari per le lamentele di tutte quelle associazioni tagliate fuori perché non inserite nella lista del Consiglio dei consumatori. La vera incognita è nel condizionamento che sapranno esercitare le grandi aziende, sia attraverso la strategia sotterranea delle lobby parlamentari, sia con il fuoco di sbarramento già attivato dalle varie associazioni di categoria (Confindustria, Abi, Ania, Assogestioni, Assonime…): uno schieramento che, agitando lo spauracchio di “danni distruttivi” per il mercato e tribunali intasati da valanghe di cause, punta a schivare gli schiaffoni evocati dal ministro Bersani.

“C’è squilibrio nel ddl governativo – ha protestato ad esempio l’Ania, l’associazione delle compagnie assicurative – l’impresa convenuta subisce le conseguenze negative della sentenza, ma non trae beneficio dal rigetto dell’istanza collettiva”. E per l’Associazione bancaria va chiarito il modo in cui il giudice è chiamato a certificare l’adeguatezza dell’azione collettiva.

Solo le prime schermaglie di un confronto che si preannuncia durissimo. “Ci prepariamo ad una battaglia lunga e faticosa – dice Alessandro Maran, capogruppo Ds in Commissione Giustizia e relatore del ddl – ma ormai in Parlamento c’è la consapevolezza di dover dare al Paese una legge sulla class action. E così sarà”. Lobby e tenuta della maggioranza permettendo. Ieri il vicepremier, Massimo D’Alema, ha negato contrasti sulle liberalizzazioni fra i ministri Rutelli e Bersani, sottolineando che “sarebbe benvenuta una concorrenza all’interno del governo su chi è più riformatore”. Sta di fatto, però, che mentre l’iter parlamentare sulla class action muove i primi passi, il leader della Margherita ha presentato al premier Prodi un manifesto sulle liberalizzazioni che affronta anche il nodo dell’azione collettiva. Una sovrapposizione di testi poco incoraggiante.


Dal 1° Gennaio 2010 è realtà anche in Italia, ma come al solito, da NOI le cose sono fatte “alla Cazzo” e conseguentemente, posso mettere in risalto due dettagli:
il SINGOLO CITTADINO non può promuovere azione collettiva;
se un’Associazione di consumatori vincesse un’azione collettiva, chi non ha partecipato alla “prima ora”, non potrà effettuare la semplice richiesta con riferimento (come negli USA, tanto tirati in ballo solo per le coglionate comode a Lorsignori), ma dovrà COMUNQUE fare Azione Legale riferendosi a quella collettiva, con EVIDENTE AGGRAVIO DI SPESE.
Ah, DIMENTICAVO che da noi è PRIORITARIO SNELLIRE la giustizia, ma SOLO PER I CAZZI LORO, per quelli inerenti la vita dei Cittadini,….
… be possiamo prendercela nel culo anche stavolta.

Fonte: Repubblica.it
Class Action all’Italianaultima modifica: 2010-08-26T20:16:15+02:00da geoline
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1 Commento

  • La novita’ deve essere il carcere per gli amministratori delle societa’. Purtroppo sappiamo che in america questo avviene raramente e che in piu’ i magistrati americani concorrono per le cariche pubbliche,quindi quando gli va fanno dei megashow e quando sono affiatati alle lobbie fanno la mossa del risarcimento milionario. Si sono accorti che in fin dei conti chi fa queste denuncie alla fine non punta sulla condanna ma si accontenta del risarcimento,un danno per niente educativo alle societa’ e agli azionisti,perche’ poi la sentenza favorevole non trovera’ accoglimento in altri luoghi per gli stessi reati,chi ha perso l’occasione del processo non vedra’ alcun danno ripagato. Da noi e’ una farsa e una brutta copia.