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Nov 7, 2012 - Curiosando in Rete, Ecologia, Economia, Fonti energetiche alternative, tecnologia    Commenti disabilitati su Il raggio che dà energia. Gratis

Il raggio che dà energia. Gratis

Marconi ideò un raggio che fermava i mezzi a motore.
Mussolini lo voleva, il Vaticano lo bloccò.
Da quelle ricerche gli scienziati crearono l’alternativa a petrolio e nucleare.
Nel 1999 l’invenzione stava per essere messa sul mercato,

ma poi tutto fu insabbiato


L’energia pulita tanto auspicata dal presidente Obama dopo il disastro ambientale del Golfo del Messico forse esiste già da un pezzo, ma qualcuno la tiene nascosta per inconfessabili interessi economici. Ma non solo. Negli anni Settanta, infatti, un gruppo di scienziati italiani ne avrebbe scoperto il segreto, ma questa nuova e stupefacente tecnologia, che di fatto cambierebbe l’economia mondiale archiviando per sempre i rischi del petrolio e del nucleare, sarebbe stata volutamente occultata nella cassaforte di una misteriosa fondazione religiosa con sede nel Liechtenstein, dove si troverebbe tuttora. Sembra davvero la trama di un giallo internazionale l’incredibile storia che si nasconde dietro quella che, senza alcun dubbio, si potrebbe definire la scoperta epocale per eccellenza, e cioè la produzione di energia pulita senza alcuna emissione di radiazioni dannose.

In altre parole, la realizzazione di un macchinario in grado di dissolvere la materia, intendendo con questa definizione qualunque tipo di sostanza fisica, producendo solo ed esclusivamente calore.

Una scoperta per caso
Come ogni giallo che si rispetti, l’intricata vicenda che si nasconde dietro la genesi di questa scoperta è stata svelata quasi per caso. Lo ha fatto un imprenditore genovese che una decina d’anni fa si è trovato ad avere rapporti di affari con la fondazione che nasconde e gestisce il segreto di quello che, per semplicità, chiameremo «il raggio della morte». E sì, perché la storia che stiamo per svelare nasce proprio da quello che, durante il fascismo, fu il mito per eccellenza: l’arma segreta che avrebbe rivoluzionato il corso della seconda guerra mondiale. Sembrava soltanto una fantasia, ma non lo era. In quegli anni si diceva che persino Guglielmo Marconi stesse lavorando alla realizzazione del «raggio della morte». La cosa era solo parzialmente vera. Secondo quanto Mussolini disse al giornalista Ivanoe Fossati durante una delle sue ultime interviste, Marconi inventò un apparecchio che emetteva un raggio elettromagnetico in grado di bloccare qualunque motore dotato di impianto elettrico. Tale raggio, inoltre, mandava in corto circuito l’impianto stesso, provocandone l’incendio. Lo scienziato dette una dimostrazione, alla presenza del duce del fascismo, ad Acilia, sulla strada di Ostia, quando bloccò auto e camion che transitavano sulla strada. A Orbetello, invece, riuscì a incendiare due aerei che si trovavano ad oltre due chilometri di distanza. Tuttavia, dice sempre Mussolini, Marconi si fece prendere dagli scrupoli religiosi. Non voleva essere ricordato dai posteri come colui che aveva provocato la morte di migliaia di persone, bensì solo come l’inventore della radio. Per cui si confidò con Papa Pio XII, il quale gli consigliò di distruggere il progetto della sua invenzione. Cosa che Marconi si affretto a fare, mandando in bestia Mussolini e gerarchi. Poi, forse per il troppo stress che aveva accumulato in quella disputa, nel 1937 improvvisamente venne colpito da un infarto e morì a soli 63 anni. 
La fine degli anni Trenta fu comunque molto prolifica da un punto di vista scientifico. Per qualche imperscrutabile gioco del destino, pare che la fantasia e la creatività degli italiani non fu soltanto all’origine della prima bomba nucleare realizzata negli Stati Uniti da Enrico Fermi e dai suoi colleghi di via Panisperna; altri scienziati, continuando gli studi sulla scissione dell’atomo, trovarono infatti il modo di «produrre ed emettere sino a notevoli distanze anti-atomi di qualsiasi elemento esistente sul nostro pianeta che, diretti contro una massa costituita da atomi della stessa natura ma di segno opposto, la disgregano ionizzandola senza provocare alcuna reazione nucleare, ma producendo egualmente una enorme quantità di energia pulita».

Tanto per fare un esempio concreto, ionizzando un grammo di ferro si sviluppa un calore pari a 24 milioni di KWh, cioè oltre 20 miliardi di calorie, capaci di evaporare 40 milioni di litri d’acqua. Per ottenere un uguale numero di calorie, occorrerebbe bruciare 15mila barili di petrolio. Sembra quasi di leggere un racconto di fantascienza, ma è soltanto la pura e semplice realtà. Almeno quella che i documenti in possesso dell’imprenditore genovese Enrico M. Remondini dimostrano.

La testimonianza
«Tutto è cominciato – racconta Remondini – dal contatto che nel 1999 ho avuto con il dottor Renato Leonardi, direttore della Fondazione Internazionale Pace e Crescita, con sede a Vaduz, capitale del Liechtenstein. Il mio compito era quello di stipulare contratti per lo smaltimento di rifiuti solidi tramite le Centrali termoelettriche polivalenti della Fondazione Internazionale Pace e Crescita. Non mi hanno detto dove queste centrali si trovassero, ma so per certo che esistono. Altrimenti non avrebbero fatto un contratto con me. In quel periodo, lavoravo con il mio collega, dottor Claudio Barbarisi. Per ogni contratto stipulato, la nostra percentuale sarebbe stata del 2 per cento. Tuttavia, per una clausola imposta dalla Fondazione stessa, il 10 per cento di questa commissione doveva essere destinata a favore di aiuti umanitari. Considerando che lo smaltimento di questi rifiuti avveniva in un modo pressoché perfetto, cioè con la ionizzazione della materia senza produzione di alcuna scoria, sembrava davvero il modo ottimale per ottenere il risultato voluto. Tuttavia, improvvisamente, e senza comunicarci il perché, la Fondazione ci fece sapere che le loro centrali non sarebbero più state operative. E fu inutile chiedere spiegazioni. Pur avendo un contratto firmato in tasca, non ci fu nulla da fare. Semplicemente chiusero i contatti».

Remondini ancora oggi non conosce la ragione dell’improvviso voltafaccia. Ha provato a telefonare al direttore Leonardi, che tra l’altro vive a Lugano, ma non ha mai avuto una spiegazione per quello strano comportamento. Inutili anche le ricerche per vie traverse: l’unica cosa che è riuscito a sapere è che la Fondazione è stata messa in liquidazione. Per cui è ipotizzabile che i suoi segreti adesso siano stati trasferiti ad un’altra società di cui, ovviamente, si ignora persino il nome. Ciò significa che da qualche parte sulla terra oggi c’è qualcuno che nasconde il segreto più ambito del mondo: la produzione di energia pulita ad un costo prossimo allo zero.
Nonostante questo imprevisto risvolto, in mano a Remondini sono rimasti diversi documenti strettamente riservati della Fondazione Internazionale Pace e Crescita, per cui alla fine l’imprenditore si è deciso a rendere pubblico ciò che sa su questa misteriosa istituzione. Per capire i retroscena di questa tanto mirabolante quanto scientificamente sconosciuta scoperta, occorre fare un salto indietro nel tempo e cercare di ricostruire, passo dopo passo, la cronologia dell’invenzione. Ad aiutarci è la relazione tecnico-scientifica che il 25 ottobre 1997 la Fondazione Internazionale Pace e Crescita ha fatto avere soltanto agli addetti ai lavori. Ogni foglio, infatti, è chiaramente marcato con la scritta «Riproduzione Vietata». Ma l’enormità di quanto viene rivelato in quello scritto giustifica ampiamente il non rispetto della riservatezza richiesta.

Il «raggio della morte», infatti, pur essendo stato concepito teoricamente negli anni Trenta, avrebbe trovato la sua base scientifica soltanto tra il 1958 e il 1960. Il condizionale è d’obbligo in quanto riportiamo delle notizie scritte, ma non confermate dalla scienza ufficiale. Non sappiamo da chi era composto il gruppo di scienziati che diede vita all’esperimento: i nomi non sono elencati. Sappiamo invece che vi furono diversi tentativi di realizzare una macchina che corrispondesse al modello teorico progettato, ma soltanto nel 1973 si arrivò ad avere una strumentazione in grado di «produrre campi magnetici, gravitazionali ed elettrici interagenti, in modo da colpire qualsiasi materia, ionizzandola a distanza ed in quantità predeterminate».

Ok dal governo Andreotti
Fu a quel punto che il governo italiano cominciò ad interessarsi ufficialmente a quegli esperimenti. E infatti l’allora governo Andreotti, prima di passare la mano a Mariano Rumor nel luglio del ’73, incaricò il professor Ezio Clementel, allora presidente del Comitato per l’energia nucleare (Cnen), di analizzare gli effetti e la natura di quei campi magnetici a fascio. Clementel, trentino originario di Fai e titolare della cattedra di Fisica nucleare alla facoltà di Scienze dell’Università di Bologna, a quel tempo aveva 55 anni ed era uno dei più noti scienziati del panorama nazionale e internazionale. La sua responsabilità, in quella circostanza, era grande. Doveva infatti verificare se quel diabolico raggio avesse realmente la capacità di distruggere la materia ionizzandola in un’esplosione di calore. Anche perché non ci voleva molto a capire che, qualora l’esperimento fosse riuscito, si poteva fare a meno dell’energia nucleare e inaugurare una nuova stagione energetica non soltanto per l’Italia, ma per il mondo intero. Tanto per fare un esempio, questa tecnologia avrebbe permesso la realizzazione di nuovi e potentissimi motori a razzo che avrebbero letteralmente rivoluzionato la corsa allo spazio, permettendo la costruzione di gigantesche astronavi interplanetarie. 
Il professor Clementel ordinò quindi quattro prove di particolare complessità. La prima consisteva nel porre una lastra di plexiglass a 20 metri dall’uscita del fascio di raggi, collocare una lastra di acciaio inox a mezzo metro dietro la lastra di plexiglass e chiedere di perforare la lastra d’acciaio senza danneggiare quella di plexiglass. La seconda prova consisteva nel ripetere il primo esperimento, chiedendo però di perforare la lastra di plexiglass senza alterare la lastra d’acciaio. Il terzo esame era ancora più difficile: bisognava porre una serie di lastre d’acciaio a 10, 20 e 40 metri dall’uscita del fascio di raggi, chiedendo di bucare le lastre a partire dall’ultima, cioè quella posta a 40 metri. Nella quarta e ultima prova si doveva sistemare una pesante lastra di alluminio a 50 metri dall’uscita del fascio di raggi, chiedendo che venisse tagliata parallelamente al lato maggiore.

Ebbene, tutte e quattro le prove ebbero esito positivo e il professor Clementel, considerando che la durata dell’impulso dei raggi era minore di 0,1 secondi, valutò la potenza, ipotizzando la vaporizzazione del metallo, a 40.000 KW e la densità di potenza pari a 4.000 KW per centimetro quadrato. In realtà, venne spiegato a sperimentazione compiuta, l’impulso dei raggi aveva avuto la durata di un nano secondo e poteva ionizzare a distanza «forma e quantità predeterminate di qualsiasi materia».

Tra l’altro all’esperimento aveva assistito anche il professor Piero Pasolini, illustre fisico e amico di un’altra celebrità scientifica qual è il professor Antonino Zichichi. In una sua relazione, Pasolini parlò di «campi magnetici, gravitazionali ed elettrici interagenti che sviluppano atomi di antimateria proiettati e focalizzati in zone di spazio ben determinate anche al di là di schemi di materiali vari, che essendo fuori fuoco si manifestano perfettamente trasparenti e del tutto indenni».

In pratica, ma qui entriamo in una spiegazione scientifica un po’ più complessa, gli scienziati italiani che avevano realizzato quel macchinario, sarebbero riusciti ad applicare la teoria di Einstein sul campo unificato, e cioè identificare la matrice profonda ed unica di tutti i campi di interazione, da quello forte (nucleare) a quello gravitazionale. Altri fisici in tutto il mondo ci avevano provato, ma senza alcun risultato. Gli italiani, a quanto pare, c’erano riusciti.

L’insabbiamento
In un Paese normale (ma tutti sappiamo che il nostro non lo è) una simile scoperta sarebbe stata subito messa a frutto. Non ci vuole molta fantasia per capire le implicazioni industriali ed economiche che avrebbe portato. Anche perché, quella che a prima vista poteva sembrare un’arma di incredibile potenza, nell’uso civile poteva trasformarsi nel motore termico di una centrale che, a costi bassissimi, poteva produrre infinite quantità di energia elettrica.
Perché, dunque, questa scoperta non è stata rivelata e utilizzata? La ragione non viene spiegata. Tutto quello che sappiamo è che i governi dell’epoca imposero il segreto sulla sperimentazione e che nessuno, almeno ufficialmente, ne venne a conoscenza. Del resto nel 1979 il professor Clementel morì prematuramente e si portò nella tomba il segreto dei suoi esperimenti. Ma anche dietro Clementel si nasconde una vicenda piuttosto strana e misteriosa. Pare, infatti, che le sue idee non piacessero ai governanti dell’epoca. Non si sa esattamente quale fosse la materia del contendere, ma alla luce della straordinaria scoperta che aveva verificato, è facile immaginarlo. Forse lo scienziato voleva rendere pubblica la notizia, mentre i politici non ne volevano sapere. Chissà? Ebbene, qualcuno trovò il sistema per togliersi di torno quello scomodo presidente del Cnen. Infatti venne accertato che la firma di Clementel appariva su registri di esame all’Università di Trento, della quale all’epoca era il rettore, in una data in cui egli era in missione altrove. Sembrava quasi un errore, una svista. Ma gli costò il carcere, la carriera e infine la salute. Lo scienziato capì l’antifona, e non disse mai più nulla su quel «raggio della morte» che gli era costato così tanto caro. A Clementel è dedicato il Centro ricerche energia dell’Enea a Bologna.
C’è comunque da dire che già negli anni Ottanta qualcosa venne fuori riguardo un ipotetico «raggio della morte». Il primo a parlarne fu il giudice Carlo Palermo che dedicò centinaia di pagine al misterioso congegno, affermando che fu alla base di un intricato traffico d’armi. La storia coinvolse un ex colonnello del Sifar e del Sid, Massimo Pugliese, ma anche esponenti del governo americano (allora presieduto da Gerald Ford), i parlamentari Flaminio Piccoli (Dc) e Loris Fortuna (Psi), nonché una misteriosa società con sede proprio nel Liechtenstein, la Traspraesa. La vicenda durò dal 1973 al 1979, quando improvvisamente calò una cortina di silenzio su tutto quanto.

Erano comunque anni difficili. L’Italia navigava nel caos. Gli attentati delle Brigate rosse erano all’ordine del giorno, la società civile soffocava nel marasma, i servizi segreti di mezzo mondo operavano sul nostro territorio nazionale come se fosse una loro riserva di caccia. Il 16 marzo 1978 i brigatisti arrivarono al punto di rapire il presidente del Consiglio, Aldo Moro, uccidendo i cinque poliziotti della scorta in un indimenticabile attentato in via Fani, a Roma. E tutti ci ricordiamo come andò a finire. Tre anni dopo, il 13 maggio 1981, il terrorista turco Mehmet Ali Agca in piazza San Pietro ferì a colpi di pistola Giovanni Paolo II.

È in questo contesto, che il «raggio della morte» scomparve dalla scena. Del resto, ammesso che la scoperta avesse avuto una consistenza reale, chi sarebbe stato in grado di gestire e controllare gli effetti di una rivoluzione industriale e finanziaria che di fatto avrebbe cambiato il mondo? Non ci vuole molto, infatti, ad immaginare quanti interessi quell’invenzione avrebbe danneggiato se soltanto fosse stata resa pubblica. In pratica, tutte le multinazionali operanti nel campo del petrolio e dell’energia nucleare avrebbero dovuto chiudere i battenti o trasformare da un giorno all’altro la loro produzione. Sarebbe veramente impossibile ipotizzare una cifra per quantificare il disastro economico che la nuova scoperta italiana avrebbe portato.

Ma queste sono solo ipotesi. Ciò che invece risulta riguarda la decisione presa dagli autori della scoperta. Infatti, dopo anni di traversie e inutili tentativi per far riconoscere ufficialmente la loro invenzione, probabilmente temendo per la loro vita e per il futuro della loro strumentazione, questi scienziati consegnarono il frutto del loro lavoro alla Fondazione Internazionale Pace e Crescita, che l’11 aprile 1996 venne costituita apposta, verosimilmente con il diretto appoggio logistico-finanziario del Vaticano, a Vaduz, ben al di fuori dei confini italiani. In quel momento il capitale sociale era di appena 30mila franchi svizzeri (circa 20mila Euro). «Sembra anche a noi – si legge nella relazione introduttiva alle attività della Fondazione – che sia meglio costruire anziché distruggere, non importa quanto possa essere difficile, anche se per farlo occorrono molto più coraggio e pazienza, assai più fantasia e sacrificio».

   A prescindere dal fatto che non si trova traccia ufficiale di questa fantomatica Fondazione, se non la notizia (in tedesco) che il primo luglio del 2002 è stata messa in liquidazione, parrebbe che a suo tempo l’organizzazione fosse stata costituita in primo luogo per evitare che un’invenzione di quella portata fosse utilizzata solo per fini militari. Del resto anche i missili balistici (con quello che costano) diventerebbero ben poca cosa se gli eserciti potessero disporre di un macchinario che, per distruggere un obiettivo strategico, necessiterebbe soltanto di un sistema di puntamento d’arma.
Secondo voci non confermate, la decisione degli scienziati italiani sarebbe maturata dopo una serie di minacce che avevano ricevuto negli ambienti della capitale. Ad un certo punto si parla pure di un attentato con una bomba, sempre a Roma. Si dice che, per evitare ulteriori brutte sorprese, quegli scienziati si appellarono direttamente a Papa Giovanni Paolo II e la macchina che produce il «raggio della morte» venisse nascosta per qualche tempo in Vaticano. Da qui la decisione di istituire la fondazione e di far emigrare tutti i protagonisti della vicenda nel più tranquillo Liechtenstein. In queste circostanze, forse non fu un caso che proprio il 30 marzo 1979 il Papa ricevette in Vaticano il Consiglio di presidenza della Società Europea di Fisica, riconoscendo, per la prima volta nella storia della Chiesa, in Galileo Galilei (1564-1642) lo scopritore della Logica del Creato. Comunque sia, da quel momento in poi, la parola d’ordine è stata mantenere il silenzio assoluto.

Le macchine del futuro
Qualcosa, però, nel tempo è cambiata. Lo prova il fatto che la Fondazione Internazionale Pace e Crescita non si sarebbe limitata a proteggere gli scienziati cristiani in fuga, ma nel periodo tra il 1996 e il 1999 avrebbe proceduto a realizzare per conto suo diverse complesse apparecchiature che sfruttano il principio del «raggio della morte». Secondo la loro documentazione, infatti, è stata prodotta una serie di macchinari della linea Zavbo pronti ad essere adibiti per più scopi. L’elenco comprende le Srsu/Tep (smaltimento dei rifiuti solidi urbani), Srlo/Tep (smaltimento dei rifiuti liquidi organici), Srtp/Tep (smaltimento dei rifiuti tossici), Srrz/Tep (smaltimento delle scorie radioattive), Rcc (compattazione rocce instabili), Rcz (distruzione rocce pericolose), Rcg (scavo gallerie nella roccia), Cls (attuazione leghe speciali), Cen (produzione energia pulita).
A quest’ultimo riguardo, nella documentazione fornita da Remondini si trovano anche i piani per costruire centrali termoelettriche per produrre energia elettrica a bassissimo costo, smaltendo rifiuti. C’è tutto, dalle dimensioni all’ampiezza del terreno necessario, come si costruisce la torre di ionizzazione e quante persone devono lavorare (53 unità) nella struttura. Un’intera centrale si può fare in 18 mesi e potrà smaltire fino a 500 metri cubi di rifiuti al giorno, producendo energia elettrica con due turbine Ansaldo.

C’è anche un quadro economico (in milioni di dollari americani) per calcolare i costi di costruzione. Nel 1999 si prevedeva che una centrale di questo tipo sarebbe costata 100milioni di dollari. Una peculiarità di queste centrali è che il loro aspetto è assolutamente fuorviante. Infatti, sempre guardando i loro progetti, si nota che all’esterno appaiono soltanto come un paio di basse palazzine per uffici, circondate da un ampio giardino con alberi e fiori. La torre di ionizzazione, dove avviene il processo termico, è infatti completamente interrata per una profondità di 15 metri. In pratica, un pozzo di spesso cemento armato completamente occultato alla vista. In altre parole, queste centrali potrebbero essere ovunque e nessuno ne saprebbe niente.

Da notare che, secondo le ricerche compiute dalla International Company Profile di Londra, una società del Wilmington Group Pic, leader nel mondo per le informazioni sul credito e quotata alla Borsa di Londra, la Fondazione Internazionale Pace e Crescita, fin dal giorno della sua registrazione a Vaduz, non ha mai compiuto alcun tipo di operazione finanziaria nel Liechtenstein, né si conosce alcun dettaglio del suo stato patrimoniale o finanziario, in quanto la legge di quel Paese non prevede che le Fondazioni presentino pubblicamente i propri bilanci o i nomi dei propri fondatori. Si conosce l’indirizzo della sede legale, ma si ignora quale sia stato quello della sede operativa e il tipo di attività che la Fondazione ha svolto al di fuori dei confini del Liechtenstein. Ovviamente mistero assoluto su quanto sia accaduto dopo il primo luglio del 2002 quando, per chissà quali ragioni, ma tutto lascia supporre che la sicurezza non sia stata estranea alla decisione, la Fondazione ufficialmente ha chiuso i battenti.

Ancora più strabiliante è l’elenco dei clienti, o presunti tali, fornito a Remondini. In tutto 24 nomi tra i quali spiccano i maggiori gruppi siderurgici europei, le amministrazioni di due Regioni italiane e persino due governi: uno europeo e uno africano. Da notare che, in una lettera inviata dalla Fondazione a Remondini, si parla di proseguire con i contatti all’estero, ma non sul territorio nazionale «a causa delle problematiche in Italia». Ma di quali «problematiche» si parla? E, soprattutto, com’è che una scoperta di questo tipo viene utilizzata quasi sottobanco per realizzare cose egregie (pensiamo soltanto alla produzione di energia elettrica e allo smaltimento di scorie radioattive), mentre ufficialmente non se ne sa niente di niente?

Interpellato sul futuro della scoperta da Remondini, il professor Nereo Bolognani, eminenza grigia della Fondazione Internazionale Pace e Crescita, ha detto che «verrà resa nota quando Dio vorrà». Sarà pure, ma di solito non è poi così facile conoscere in anticipo le decisioni del Padreterno. Neppure con la santa e illustre mediazione del Vaticano.

Fonte: ilgiornale.it
Lug 15, 2009 - Fonti energetiche alternative    Commenti disabilitati su Navi per Data Center: Rafreddati ad acqua

Navi per Data Center: Rafreddati ad acqua

GoogleIl celeberrimo motore di ricerca studia come tenere “rafreddati” i suoi Data Center:

Ha creato i Data Center a bordo di Navi che sfuttano l’acqua per il rafreddamento!


Google, come già sappiamo in tanti, ha investito miliardi di dollari nella costruzione di Data Center diffusi in tutto il pianeta.
Sono i calcolatori che oltre aconsentirci le “ricerche” in rete, eseguono tutta un’altra serie di operazioni (che non stò ad elencare) che vengono effettuate da server fortemente energivori.
Il consumo di energia non è il solo problema per Google, che ha dovuto affrontare seri PROBLEMI DI DISSIPAZIONE!
Tutti noi sappiamo quanto sia problematico già per un PC allontanare il calore prodotto da CPU & Co.
Immaginiamoci il problema per quei server…
Ebbene…: Ha realizzato i Data Center direttamente su NAVI!
Sfuttando così l’acqua per il rafreddamento.
Vi chiederete: e l’energia? Da dove la prende??
Ebbene, leggetevi il post: su pelamis

Google launching its own navy?
By Cade Metz in San Francisco

About 70 per cent of the Earth is covered by water. So Google’s thinking it had better build some data centers that can float.

With a recently-released patent application, the search giant cum world power seeks exclusive rights to what it calls a “water-based data center”. This modular collection of processing, storage, and network resources would sit on a ship anchored somewhere offshore, using the crashing waves for both power and cooling.

Google Floating Data Center

Google’s floating data center

Google envisions its seaworthy data center serving land-bound humans in times of emergency. “For example,” the application reads, “a military presence may be needed in an area, a natural disaster may bring a need for computing or telecommunication presence in an area until the natural infrastructure can be repaired or rebuilt, and certain events may draw thousands of people who may put a load on the local computing infrastructure.

“Often, such transient events occur near water, such as a river or an ocean. However, it can be expensive to build and locate data centers, and it is not always easy to find access to necessary (and inexpensive) electrical power, high-bandwidth data connections, and cooling water for such data centers.”

Famously, Google has already patented data centers that tuck inside standard shipping containers, and these mobile modules would serve as building blocks for its water-based computer center.

Sergey and Larry might hoist their shipping containers onto that anchored ship. Or they might set them up on dry land, not too far from the waves. In either case, power could arrive from so-called Pelamis machines, Scottish-designed contraptions that convert waves into electricity. And seawater cooling units could keep all that shipping container-ed hardware from overheating.

Naturally, Google isn’t the first to dream up such a thing. A company called IDS is working on its own floating hardware – though it sees things a bit differently. “IDS floating data centers will be anchored in port the majority of the time, whereas [Google’s] will be positioned out at sea,” reads a blog post from the company. “There [are] also some significant differences in the way sea water is used for cooling, and obviously some differences in power generation.”

Of course, IDS isn’t blanketing the planet with its very own built-from-scratch internet. We can safely say that Google is building its own servers, its own Ethernet switches, its own underwater comms cables, its own worldwide collection of brick and mortar data centers, and its own truck-em-anywhere-you-want-em mobile data centers. And now it looks like the company is well on its way to floating its own Data Center Navy. When we accused Larry and Serge of killing penguins, we didn’t know the half of it. ®

Lug 14, 2009 - Fonti energetiche alternative    Commenti disabilitati su Energie Rinnovabili – NUOVE TECNOLOGIE

Energie Rinnovabili – NUOVE TECNOLOGIE

Pelamis Wave Energy ConverterLe energie rinnovabili il più possibile indipendenti dagli idrocarburi:

sempre più sulla bocca di tutti, e sempre MENO nei programmi politici INTERNAZIONALI!


Ho trovato un articolo che ha del sensazionale, ne avevo sentito parlare tempo fa, ma non mi risultava che si fosse andati oltre le sperimentazioni (anche poco sponsorizzate) in laboratorio.
Ebbene, vi riporto la descrizione tratta dal sito ufficiale pelamis:

Boat PelamisThe Pelamis Wave Energy Converter is a semi-submerged, articulated structure composed of cylindrical sections linked by hinged joints. The wave-induced motion of these joints is resisted by hydraulic rams, which pump high-pressure fluid through hydraulic motors via smoothing accumulators. The hydraulic motors drive electrical generators to produce electricity. Power from all the joints is fed down a single umbilical cable to a junction on the sea bed. Several devices can be connected together and linked to shore through a single seabed cable.

Pelamis offers technological, economic and environmental advantages including:

  • Survivability ‘built in’
  • 100% available technology
  • No maintenance carried out at offshore site
  • No offshore intervention required
  • ‘Hands Free’ operation
  • Lowest kWh costs in the market
  • High return potential
  • Commercial track record
  • Verified and insured

Current production machines are 180m long and 4m in diameter with 4 power conversion modules per machine. Each machine is rated at 750kW. The energy produced by Pelamis is dependent upon the conditions of the installation site. Depending on the wave resource, machines will on average produce 25-40% of the full rated output over the course of a year. Each machine can provide sufficient power to meet the annual electricity demand of approximately 500 homes.


Che dire…
… semplicemente geniale!
E sì che di mare ne abbiamo, sul globo! Potrebbero aiutare il movimento, qualche MIGLIAIO di politici inutili che, in giro per il mondo fanno solo danni e dicono coglionate!
Immaginatevi come. Magari rientrerebbero a pieno titolo nella catena alimentare.
Geo
Lug 13, 2009 - Fonti energetiche alternative    Commenti disabilitati su Google e le sue 200 CAPRE!!

Google e le sue 200 CAPRE!!

GoogleIl celeberrimo motore di ricerca partecipa alla riduzione delle emissioni:

Per la manutenzione dei prati, STOP ai tagliaerba e via ad uno stuolo di CAPRE!!


In una delle ricerche, mi sono imbattuto in una notizia che ha dello sbalorditivo tanto è semplicemente stupida quanto paradossalmente OVVIA!!
Google, forse anche grazie alla attuale crisi (della quale vedremo ancora DRAMMATICHE EVOLUZIONI) ha varato un sostanzioso piano di tagli ai costi. In questo pacchetto, le spese per la manutenzione dei prati della Silicon Valley
.
Ebbene…: TAGLIO E FERTILIZZAZIONE CONTEMPORANEA!!
lA COSA PIU’ GENUINA, OVVIA E ANTICA DELLA TERRA!!


Google hires goat army for lawn maintenance
Bleats mowing the lawn
By Austin Modine

Job openings are few and slim in Silicon Valley these days, but at least Google is hiring. Applicants are required to have at least 2 years experience eating grass with a four-chambered stomach.

Google said today it has enlisted a small army of hungry, hungry goats to help manicure the expansive fields at its Mountain View headquarters.

Image courtesy the Google Blog

The internet’s top ad broker wrote in its official blog that the goats are hired from a local goat rental business to clear weeds and brush to reduce fire hazard.

A herder brings about 200 goats and they spend roughly a week with us at Google, eating the grass and fertilizing at the same time. The goats are herded with the help of Jen, a border collie. It costs us about the same as mowing, and goats are a lot cuter to watch than lawn mowers.

Yes, it’s all eco-friendly fun and games until Googlers start spreading Goat Flu to the masses. ®


E quindi ecco la California Grazing:

CapraGo Green. Go Goats.

California Grazing provides holistic land management and brush & weed control through grazing. We can eliminate noxious weeds, restore native grasses, and address fire prevention through fuel load reduction.

Our fleet of 800+ environmentally friendly, self propelled weed eaters are ready for your project! These cute & cost effective critters remove thistle, brush, weeds, and other invasive plants.

Benefits

Goat grazing is a cost effective, ecologically sound way to clear land and promote growth of native grasses and beneficial plants, particularly for large acreages and difficult terrain. It has been proven to efficiently handle areas that are inaccessible or difficult to manage with mowers, areas where burns are inadvisable, and sensitive areas where the application of herbicides is not appropriate.

Our goats restore plant species that better clean the air, reduce water pollution, prevent the spread of fires, eliminate mower emissions, and fertilize while they graze!

Star Thistle

Yellow star thistle is named for its bright thistle-like flowers, which have sharp spines surrounding their base. It is a long-lived annual and is found at elevations of 7000 feet or less. It grows anywhere from 6 inches to 5 feet tall. Most of the plant’s seeds germinate within a year of disbursement, yet some can stay viable for up to 3 years.

Goat grazing is a highly effective way of reducing star thistle and star thistle seed production. Goats will eat the plants in all stages, including after the spines form. Quite surprisingly, goats like thistle – it is one of the first plants they will eat when present. Intensive grazing managed over time by goats provides positive and successful results in the eradication of star thistle.

Aggressive noxious weeds like thistle bring problems as they displace beneficial plants, and reduce habitat and recreational value. Goat grazing is also an effective method for control of other weed species such as Spurge, Nettles, Purple Star thistle, Artichoke thistle, Poison Ivy and Poison Oak. Whereas human contact with Poison Oak or Poison Ivy can cause an allergic reaction in humans, goats relish them and are highly effective at eradicating this weed.

Other plants goats like to eat include: Vetch, Yellow and Purple Star Thistle, Bull Thistle, French Broom, Mustard, Himalayan Blackberry, Coyote Bush, Ivy, Pine and Oak Saplings, Poison Oak, Eucalyptus Saplings, Poison Hemlock, Sage, Ivy, and most grasses.

Riparian Restoration

A riparian area is one that is located on the bank of a natural waterway, such as a river or lake. By carefully managing grazing in riparian areas, healthy plants will build strong stream banks. Permanent vegetative cover provides the most effective way to reduce soil erosion. Raindrops, for example, lose some of their force when they land on plants. They run off the vegetation down to the ground rather than pounding the soil at their full velocity. More water soaks into the ground instead of running off, which helps to eliminate soil erosion.

Root systems of beneficial plants hold soil in place and filter contaminants. These root systems allow water to flow more clearly as impurities are filtered out before reaching ground water. Grazing management also minimizes vegetation growth and blockage of natural waterways. Grazing with goats encourages a healthy watershed and reduces pollution in our lakes, rivers and streams – and we all benefit from clean water!

Mountain, valley, desert or coast, we must preserve the wonder that is California!

Fuel Reduction

Goats eat “hot fuel,” the spindly plants that grow under trees and allow fire to spread quickly. Unlike other animals, goats are naturally adapted to eating weeds, brush, thistles and invasive plants. They have evolved their own razing mechanisms for digesting and processing even the most noxious of weeds. Fuel load reduction with goats is accomplished by the use of a temporary electric fence. This standard farm fencing enables us to control the goats’ grazing pattern.