Tagged with " condanna"
Apr 16, 2011 - Lavoro    Commenti disabilitati su OMICIDIO VOLONTARIO all’AD della Tyssen!!

OMICIDIO VOLONTARIO all’AD della Tyssen!!

Tyssen KruppThyssen, fu omicidio volontario Sentenza storica a Torino

Nel rogo morirono sette persone. Sedici anni per l’ad Espenhahn. Condannati gli altri 5 imputati: 13 anni per quattro dirigenti, 10 anni per Moroni. “Questo processo farà giurisprudenza”

Non appena risuona la parola “colpevole”, i parenti delle sette vittime della strage della ThyssenKrupp trattengono a stento un moto di gioia. Poi, con il passare dei minuti, non trattengono più le lacrime. Fino a che un padre, sopraffatto dall’emozione, non viene adagiato su una barella. Non hanno perso un’udienza e non potevano certo mancare alla lettura della sentenza che, seppure niente e nulla potrà mai ripagare il dolore di una morte, li premia. Un verdetto pesantissimo quello della Corte d’Assise di Torino, che accoglie in pieno (e anche oltre) tutte le richieste dell’accusa. Harald Espenhahan, amministratore delegato della ThyssenKrupp Italia, è stato condannato a sedici anni e sei mesi di reclusione per omicidio volontario con dolo eventuale.

È la prima volta che un Tribunale riconosce un reato così grave per “incidente” sul lavoro. Tredici anni e sei mesi ai dirigenti Gerald Priegnitz e Marco Pucci, al direttore dello stabilimento torinese Raffaele Salerno e al responsabile sicurezza Cosimo Cafueri, imputati di omicidio colposo con colpa cosciente; 10 anni e dieci mesi (l’unica pena superiore alle richieste della pubblica accusa) al dirigente Daniele Moroni.

È da poco passata l’una del 6 dicembre 2007, quando, sulla linea 5 dell’acciaieria di corso Regina Margherita, si sviluppa un principio d’incendio. Antonio Schiavone, 36 anni e tre figli, si china per tentare di spegnerlo; improvvisamente cede un tubo, fuoriesce una gran quantità d’olio che provoca un’esplosione. Schiavone muore sul colpo. Dietro di lui sei compagni di lavoro vengono travolti dalle fiamme. L’ottavo componente della squadra, Antonio Boccuzzi, oggi parlamentare del Pd, riesce miracolosamente a scampare. Sei ore dopo l’esplosione muore Roberto Scola, 32 anni e due figli, giunto al reparto grandi ustionati del Cto di Torino pienamente cosciente. Il cuore di Angelo Laurino, 43 anni e due figli, si ferma all’Ospedale San Giovanni Bosco il pomeriggio del 6 dicembre. Bruno Santino muore di sera; aveva 26 anni e della fabbrica non ne poteva più e di lì a poco si sarebbe licenziato per aprire un bar con la fidanzata ventunenne. La Torino postolimpica, d’un tratto, scopre che gli operai esistono ancora. E che muoiono sul lavoro. Il 16 dicembre 2007 la città accompagna in duomo i funerali delle prime quattro vittime, poche ore prima che, in una stanza delle Molinette, finisca la lotta di Rocco Marzo, 54 anni e due figli, il più anziano (sarebbe andato in pensione dopo poche settimane) del gruppo. Tre giorni dopo, il 19 dicembre, muore anche Rosario Rodinò, 26 anni, stessa età di Giuseppe Demasi, che resiste fino al 30 dicembre. Sette morti, una strage mai vista.

Il verdetto della Corte d’Assise di Torino arriva dopo un processo celebrato a tempo di record, tre anni e cinque mesi dopo quella notte maledetta. Indagini chiuse il 23 febbraio 2008, un primo risarcimento record di 12 milioni e 970 mila euro da parte della ThyssenKrupp alle famiglie delle vittime (giugno) poi l’udienza preliminare e il rinvio a giudizio (novembre), quindi il dibattimento iniziato a gennaio 2009 e conclusosi ieri. Ottanta udienze spesso concitate in cui non sono mancati colpi di scena, su tutti l’indagine parallela a carico di una decina di persone che, “avvicinate” dall’azienda, avrebbero dichiarato il falso in dibattimento.

Secondo l’accusa il rogo della ThyssenKrupp fu una “tragedia annunciata”, causata dalla colpevole omissione di adeguate misure di sicurezza all’interno di uno stabilimento in via di dismissione: sistemi di rilevazione incendi assenti, estintori vuoti o malfunzionanti, carenza di manutenzione, sporcizia e, soprattutto, quell’email firmata Harald Espenhahan in cui l’amministratore delegato dichiarava il dirottamento di un investimento di 800 mila euro (sollecitato dalle assicurazioni nel 2006 dopo un analogo incendio nello stabilimento tedesco di Krefeld) “from Turin”, cioè non a Torino, ma a Terni, dove la linea 5 avrebbe dovuto essere smontata e trasferita (nonostante il picco di produzione raggiunto appena due mesi prima della strage). Per i pubblici ministeri Guariniello, Longo e Traverso “from Turin” era la pistola fumante, motivo dell’imputazione di omicidio volontario con dolo eventuale a carico di Espenhahan, che avrebbe coscientemente risparmiato sulla sicurezza accettando il rischio di incidenti anche gravi. Secondo i difensori – tra cui spiccava l’avvocato Franco Coppi, già legale di Giulio Andreotti – l’imputazione di omicidio volontario era “obbrobriosa”, formulata dalla Procura “in modo frettoloso sull’onda dell’emozione”, addirittura un “processo politico” contro “la fabbrica dei tedeschi” (dal titolo del documentario di Mimmo Calopresti). Secondo la difesa l’azienda non trascurò la sicurezza degli operai, cercando in qualche modo – pur dichiarando di volerlo evitare a tutti i costi – di addossare ai lavoratori la responsabilità di quanto accaduto. La Corte d’Assise di Torino non ci ha creduto.

di Stefano Caselli

Da Il Fatto Quotidiano del 16 aprile 2011

Fonte: ilfattoquotidiano

 

Feb 19, 2011 - Politica    Commenti disabilitati su Vogliamo aleggerire il lavoro ai GIUDICI?

Vogliamo aleggerire il lavoro ai GIUDICI?

Giustizia INGIUSTASi parla di “riforma della giustizia” e ci infilano IL RIPRISTINO DELL’IMMUNITA’ PARLAMENTARE!!
Ci hanno rotto il cazzo e non ne possiamo più, ma perchè non si fa UNA cosa GIUSTA?
Perchè sembra che lo scopo sia SOLO QUELLO DI INCULARCI?
Vogliamo una riforma della Giustizia GIUSTA!! Che RISPETTI LA COSTITUZIONE e che dia risposte rapide e oneste.

Sono dell’avviso che si dovrebbe procedere innanzitutto ad una operazione:
– DIVIDERE LE COMPETRENZE DEI TRIBUNALI.
Mi spiego meglio: sappiamo che una valanga di cause civili pende sulla testa dei Giudici di TUTTI i Tribunali. E’ dato conosciuto che una quantità immensa trattano specificità raggruppabili; intendo dire che invece di avere tre tribunali per provincia che trattano TUTTO, si potrebbe:
dedicare un Tribunale (o una sezione se il Tribunale è in grado di gestirne il carico) alle Cause PER INCIDENTI STRADALI,
uno per le Cause CONDOMINIALI,
uno per le Cause MATRIMONIALI,
Cause AZIENDALI, PATRIMONIALI E DEL LAVORO
ed uno per i reati PENALI.
Tutte le altre minori… ai Giudici di Pace.

E’ inutile che dappertutto si tratti TUTTO. E’ chiaro che in un’azienda che si rispetti, la qualità del prodotto è tanto migliore quanto più l’Azienda è specializzata in un prodotto specifico.
Altro Capitolo (che però coinvolge in verità tutti i settori della Giustizia) è quello della pena da infliggere a CHI PROMUOVA UNA CAUSA BEN SAPENDO DI AVERE TORTO. Ne è un limpido esempio la QUERELA PER DIFFAMAZIONE. A tal proposito vi suggerisco un passo tratto dal sito di Beppegrillo: non è una sua idea, in realtà il DIRITTO ANGLOSASSONE LO PREVEDE, ma noi siamo CREATIVI e dobbiamo inventarci le coglionate pur di proteggere il ricco potente prepotente di turno.
La proposta è: SE QUERELI UNA PERSONA e chiedi un MILIONE di euro di risarcimento, se il Giudice stabilisce che hai torto, PAGHI AL QUERELATO l’ammontare richiesto!
Io aggiungerei le spese processuali e Legali raddoppiate per INTASAMENTO DELL’ATTIVITA’ DEL TRIBUNALE. Sono certo che il numero delle Querele crollerebbe drasticamente.


da beppegrillo.it
La querela per diffamazione è sopravvissuta a tutte le riforme sulla Giustizia, alla depenalizzazione del falso in bilancio, al lodo Alfano, alla separazione delle carriere, al bavaglio all’informazione. La querela serve al potere. La querela è un’arma da ricchi. Usata per intimidire. Per tappare la bocca. Per togliere i mezzi economici all’avversario. Spesso con la ricerca del pelo nell’uovo, come ad esempio un mancato virgolettato in una frase. La querela può essere penale o civile. Se va bene si infanga l’avversario e si porta a casa un piccolo tesoretto. Magari con la cessione del quinto dello stipendio di un povero diavolo.
La querela per diffamazione va depenalizzata. E se si richiede un indennizzo economico, chi fa la querela dovrebbe depositare in anticipo l’intera somma richiesta su un conto a disposizione del Tribunale. Se perde la causa, il deposito servirà a risarcire il querelato. Troppo comodo infangare, spaventare e cavarsela con le sole spese processuali.
Di solito si querela la verità, mai la menzogna. Di solito chi querela sono i politici e i rappresentanti delle cosiddette istituzioni, mai i cittadini. Di solito la querela viene usata in mancanza di altre argomentazioni per finire sui giornali di regime e fare la figura dell’innocente. Riporto Schifani che non può essere processato ha querelato Travaglio, Mavalà Ghedini minaccia di querela chiunque dia del puttaniere al suo cliente (in pratica mezzo mondo), Cicchitto querela l’Espresso.