Tagged with " d’alema"
Ago 18, 2010 - Politica    1 Comment

Servizi Segreti e Presidenza del Consiglio

Di_Pietro_02.jpgL’ ex Pm su ” Oggi ” spiega le sue dimissioni: mi aspettavo vendette e da privato potevo difendermi meglio

” Dossier dei Servizi su Di Pietro “

Di Muccio (FI) smentisce il Sisde: si intitola ” Achille ” , ci sono anche carte di Craxi

E’ vero: i servizi segreti spiavano Di Pietro. La clamorosa conferma . che smentisce quanto sostenuto sino a oggi dai responsabili dei servizi . arriva da Roma. Al termine di una lunga audizione di Lamberto Dini al Comitato parlamentare di controllo, l’ onorevole Pietro Di Muccio (Forza Italia) ieri sera ha rivelato che e’ stato scoperto un fascicolo, nome in codice “Achille”, contenente informazioni sull’ ex pm di Mani pulite. Il dossier potrebbe gia’ essere sul tavolo del pm Fabio Salamone che, nell’ ambito delle indagini sui tentativi di delegittimazione denunciati da Di Pietro, ha aperto la scorsa estate uno stralcio sul ruolo dei servizi segreti. Un ex agente del Sisde, Roberto Napoli, aveva rivelato a Di Pietro che il capo del Centro 1 di Roma gli aveva affidato nel ‘ 92 l’ incarico di indagare su Di Pietro. Salamone nel corso di una trasferta romana interrogo’ l’ allora capo del Sisde, Angelo Finocchiaro, che smenti’. Contemporaneamente chiese al comitato per i servizi di avere copia del rapporto che Napoli fece dopo non aver scoperto nulla contro il magistrato. Quelle carte, insieme con altre, sono state poi trasmesse alla procura di Brescia che ha avuto cosi’ conferma della veridicita’ del racconto di Napoli. Nel dossier “Achille” sarebbero contenuti anche i fascicoli trovati nello studio romano di Craxi. Di Muccio, le cui dichiarazioni sono state confermate da altri componenti del Comitato, ha sottolineato che i responsabili dei tre servizi, interpellati ufficialmente, avevano negato l’ esistenza di fascicoli su Di Pietro. E cosi’ ora si preannuncia una bufera. Il presidente del Consiglio Dini, che ha anche affrontato il tema dei 45 dossier del Sisde raccolti tra il ‘ 93 e il ‘ 94, si e’ impegnato a fare chiarezza e ha annunciato la costituzione, al ministero dell’ Interno, di una commissione di inchiesta (1) che dovra’ verificare i criteri con cui furono individutati e allontanati molti appartenenti al Sisde dopo la vicenda dei fondi neri. E intanto l’ inchiesta bresciana sull’ ex pm di Mani pulite sta arrivando al capolinea. I pm Salamone e Bonfigli prevedono di depositare le loro richieste al gip entro 10 giorni. Il principale filone di indagini, in cui Di Pietro viene chiamato in causa da piu’ parti, e’ quello sull’ informatizzazione degli uffici giudiziari, per il quale l’ ex magistrato e’ stato iscritto nel registro degli indagati con l’ accusa di abuso d’ ufficio. Nel corso dell’ ultimo interrogatorio, il 29 novembre, gli sarebbe stata contestata l’ accusa di concussione. Due sono gli episodi al centro dell’ inchiesta. Il primo riguarda un decreto approvato nel gennaio ‘ 90 dal Consiglio dei ministri su proposta del ministro della Funzione Pubblica Remo Gaspari (che da Di Pietro era stato inquisito per peculato), in cui Tonino veniva nominato direttore responsabile del progetto di informatizzazione degli uffici giudiziari milanesi. Quel decreto venne poi corretto da Gaspari poco prima della registrazione alla Corte dei Conti e il nome di Di Pietro fu sostituito con quello del presidente della Corte d’ appello. L’ altro episodio risale a luglio ‘ 91. L’ ex assessore dc Francesco Rivolta . inquisito da Di Pietro per la vicenda di Lombardia Informatica . ha raccontato ai pm bresciani che il comandante dei vigili urbani di Milano, Eleuterio Rea, amico di Tonino, ando’ da lui e fece pressioni affinche’ fossero attivati canali politici che avrebbero consentito al magistrato di diventare capo dell’ Ufficio automazione del ministero. Rivolta dice che ne parlo’ al segretario regionale della Dc Gianstefano Frigerio e a quello del Psi, Andrea Parini. Entrambi hanno confermato, ma Rea nega tutto. E ieri, durante un confronto di due ore con Rivolta, entrambi sono rimasti sulle rispettive posizioni. Rea dice che quell’ incontro non ci fu e che nel ‘ 91 i rapporti con Di Pietro si erano interrotti. Intanto, nella sua rubrica sul settimanale “Oggi”, Di Pietro torna a parlare dei motivi delle sue dimissioni. “Era l’ unica contromossa possibile . spiega . per salvaguardare la bonta’ dell’ inchiesta: togliermi di mezzo come rappresentante istituzionale e affrontare da privato cittadino la vendetta”. Quella vendetta, dice, compiuta contro di lui da diverse persone (“politici e non”) perche’ aveva “osato mettere sotto processo e far condannare l’ intera nomenclatura politico imprenditoriale italiana”.

Corvi Luigi

Pagina 12
(13 dicembre 1995) – Corriere della Sera

Il 18 ottobre 1993, arriva una riforma dei servizi segreti. I nuovi servizi segreti sono accentrati nel coordinamento e nella gestione, e posti alle dirette dipendenze del presidente del consiglio, anziche’ di una commissione parlamentare come era prima.

Con la vittoria alle elezioni del 10 maggio 1994, Berlusconi eredita tale ruolo divenendo presidente del consiglio. Il sei dicembre dello stesso anno Di Pietro da’ le dimissioni dalla magistratura, perche’ c’e’ un’inchiesta del GICO e Il Sabato pubblica un dossier contro di lui. La sorgente e’ il SISDE, e il dossier si chiamava “Achille”.

Dopo la riforma del tre agosto 2007, i servizi segreti sono raggruppati sotto il comando della Presidenza Del Consiglio. Silvio Berlusconi ne e’ tutt’ora comandante.
Ha potere assoluto?
La risposta e’ NO, perche’ esiste il COPASIR, ovvero il comitato parlamentare per la sicurezza per la repubblica.

Durante la XV legislatura, il comitato era guidato (fino a gennaio 2010) , da Francesco Rutelli. Succedono tutte le infiltrazioni nella vita privata di Berlusconi, si fotografa il presidente nella sua villa sarda, e tutto quanto.

Il 26 Gennaio 2010, Massimo D’Alema, (da sempre allergico e polemico verso lo strapotere dei magistrati, per via di alcuni trascorsi giudiziari non proprio trasparenti(2) ) diventa presidente del COPASIR, ELETTO ALL’UNANIMITA’. E da quel momento, le intrusioni nella vita privata condotte dai magistrati iniziano a diminuire  di intensita’, fino a quasi scomparire.

(1) Stralci dal documento pubblicato sul Sito del Sisde Il 20 febbraio 1996, la Procura della Repubblica di Milano ha fatto pervenire al Comitato alcuni documenti sequestrati nel procedimento penale n. 9260/95 R.G.N.R., a carico di Francesco Nanocchio più altri ufficiali e sottufficiali della Guardia di finanza, per il reato di associazione per delinquere. Essi rivelano un complesso ed intenso lavoro volto a raccogliere note informative sui magistrati (tra i quali il dottor Di Pietro, il dottor Colombo ed altri), sulla loro vita, sulle indagini, sui rapporti dell’uno o dell’altro con i colleghi e con individuati elementi della polizia giudiziaria. Si riferiscono presunte scorrettezze, che poi verranno contestate nelle ispezioni, dall’autunno del 1994 in avanti. E’ insomma un’attività che può denominarsi di “dossieraggio”, nella quale rientrano fra l’altro le stesse insinuazioni contro il dottor Di Pietro utilizzate a più riprese dall’on. Bettino Craxi e da altre fonti (su cui si veda la precedente Relazione del Comitato, in data 26 ottobre 1995).

Durante l’autunno del 1994 – occorre ricordarlo – numerose copie del dossier risultano essere state in circolazione. Si è tra l’altro accertato che una di esse era allora nella disponibilità di Paolo Berlusconi. In relazione alla formazione e all’uso del dossier come illecito strumento di pressione, per indurre Di Pietro a dimettersi, la Procura di Brescia ha chiesto il rinvio a giudizio di Paolo Berlusconi e dell’ex ministro Cesare Previti, per il reato di concussione in concorso con gli ispettori ministeriali Dinacci e De Biase.

Nella Relazione, presentata al Parlamento il 27 luglio 1995, il Comitato aveva scritto: “Occorre d’altra parte osservare che l’allontanamento di un certo numero di appartenenti al Servizio, nel biennio 1993-1994, è avvenuto sulla base di criteri incerti, mentre rimanevano al loro posto funzionari che hanno svolto compiti rilevanti durante gli anni più oscuri, collaborando con i dirigenti coinvolti nella spartizione illecita dei fondi riservati e senza accorgersi dei gravi abusi commessi”. Le posizioni vanno riesaminate e, se vi sono state ingiustizie, devono essere rimosse.

Top VI Conclusione

La presente relazione non dà conto analiticamente di tutte le attività svolte e di tutti i documenti acquisiti negli ultimi mesi, relativi alla ordinaria attività di controllo. Sono stati trasmessi al Comitato, dall’inizio della legislatura, 669 documenti e si sono tenute 72 sedute del plenum e 10 riunioni dell’Ufficio di Presidenza. Il Comitato ha svolto 49 audizioni.
A conclusione dei propri lavori, il Comitato ha voluto affrontare soltanto alcune questioni più rilevanti, che non ha ritenuto di lasciare sospese, nel momento in cui si interrompeva la legislatura.
Per i profili più generali di analisi del sistema di informazione e sicurezza e per le proposte di riforma che si possono consegnare all’attenzione del futuro Parlamento, il Comitato rinvia alle precedenti Relazioni e soprattutto alla prima, del 6 aprile 1995.
Dall’analisi delle situazioni controverse di cui anche questa Relazione si occupa, risulta nettamente confermata l’urgenza che le linee già indicate dal Comitato siano al più presto discusse dal Parlamento e tradotte in atti legislativi conseguenti.
Per quel che riguarda il potenziamento del controllo parlamentare, oltre a tutte la proposte già avanzate, si sottolinea l’esigenza che il Comitato, almeno per alcuni specifici settori di attività (o per individuati oggetti di indagine) possa valersi dei poteri che l’articolo 82 della Costituzione riconosce alle Commissioni parlamentari d’inchiesta.

Quindi: FUFFA
Fonte: Corriere.it
Set 20, 2008 - Politica    Commenti disabilitati su I Signori delle autostrade

I Signori delle autostrade

I Signori delle autostradeBeppe Grillo

Il buon Beppe Grillo ha fatto riferimento ad un libro degno di nota.

Si tratta di una delle privatizzazioni più scandalosamente “clientelari” effettuate nella storia della Repubblica.

Prego notare che quando si parla della “ convenzione del ’97“, (rovinosa per noi contribuenti in quanto a beneficio esclusivo dei Privatizzandi) è d’obbligo ricordare che il Governo in carica era il 1° Governo Prodi, con Ciampi (sì quello che ammirate tutti ma che meriterà un post dedicato più avanti), Visco, Di Pietro e Bersani. E per le lunghe proroghe delle concessioni (nel 1999) era in carica il 1° Governo D’Alema che confermò sostanzialmente QUASI tutti i ministri interessati all’operazione. Sì quasi tutti, perchè venne sostituito quel “Rompicoglioni” di Di Pietro che evidentemente era “Elemente turbativo” per gli scopi di cui trattasi. La sua frase “la cuccagna è finita”risultò EVIDENTEMENTE sgardita a resto del Club.

Ovviamente, come al solito, ogni commento contribuirà ad arricchire il post.

I Governo ProdiIl Governo Prodi I è stato in carica dal 18 maggio 1996 al 21 ottobre 1998 (886 giorni, pari a due anni, cinque mesi e tre giorni), e ha avuto la fiducia del Parlamento dal 31 maggio 19969 ottobre 1998 (per 861 giorni). al “FORSE non avete capito cosa sta succedendo. Qui il problema non è Wall Street che perde il 4%. Qui siamo a un passo dal collasso totale dei mercati, dalla crisi del sistema finanziario globale”.

Tesoro, Bilancio e Programmazione Economica era Carlo Azeglio Ciampi (Indipendente)
Sottosegretari: Roberto Pinza (PPI), Filippo Cavazzuti (PDS), Piero Dino Giarda(Indipendente), Laura Pennacchi(PDS), Giorgio Macciotta(PDS), Isaia Sales (PDS)

Finanze Vincenzo Visco (PDS)
Sottosegretari Giovanni Marongiu(PRI), Fausto Vigevani(PDS), Pierluigi Castellani(PPI, dal 21/11/96)

Lavori Pubblici con delega Aree Urbane Antonio Di Pietro (Indipendente) (fino al 20/11/96) Paolo Costa (Indipendente, dal 20/11/96)
SottosegretariAntonio Bargone (PDS), Gianni Francesco Mattioli (FdV)

Industria, Commercio e Artigianato Pier Luigi Bersani (PDS)
SottosegretariUmberto Carpi (PDS), Salvatore Ladu (PPI)



I Governo D'AlemaIl Governo D’Alema I è stato in carica dal 21 ottobre 1998 al 22 dicembre 1999, per un totale di 427 giorni, ovvero 1 anno, 2 mesi e 1 giorno.

Tesoro, Bilancio e Programmazione Economica Carlo Azeglio Ciampi (Indipendente, fino al 13/05/99) Giuliano Amato (Indipendente, dal 13/05/99)
Sottosegretari Stefano Cusumano (UDR, fino al 26/04/99), Natale D’Amico (RI), Dino Piero Giarda(Indipendente), Laura Pennacchi (DS, fino al 09/07/99), Giorgio Macciotta(Ds), Roberto Pinza (PPI), Bruno Solaroli (DS, dal 27/09/99)

Finanze Vincenzo Visco (DS)
Sottosegretari Ferdinando De Franciscis(PPI), Fausto Vigevani (DS), Gian Franco Schietroma (SDI, dal 04/08/99)

Lavori Pubblici Enrico Micheli (PPI)
Sottosegretari Antonio Bargone (Ds), Mauro Fabris (UDR), Gianni Francesco Mattioli (FdV)

Industria, Commercio e Artigianato Pier Luigi Bersani (DS)
SottosegretariUmberto Carpi (DS), Gianfranco Morgando (PPI)



Riporto uno stralcio tratto dal sito: lavoce.info.

Di Pietro, appena assunta la carica di ministro, parlando delle concessionarie ha dichiarato: “la cuccagna è finita”, anche se poi non pare sia riuscito nel suo intento. Il settore registra da tempo profitti molto elevati. Per citare solo i casi più rilevanti, in sei anni la Schemaventotto dei Benetton ha moltiplicato per sei/sette volte il valore del suo investimento. (…) L’imprenditore Gavio, entrato nel settore meno di dieci anni addietro con un piccolissimo investimento controlla oggi un “impero” che vale quattro miliardi.
Per cercare di capirne i motivi abbiamo ripercorso la storia del settore dalle origini ad oggi. Poiché le concessionarie erano prevalentemente pubbliche, dell’Iri o di enti locali, ministri e Anas sono sempre stati molto benevoli nei loro confronti (alle spalle degli utenti). Già le rivalutazioni monetarie del 1976 e 1983 erano state una fonte di grandi profitti per le concessionarie; senza quelle rivalutazioni, nella maggior parte dei casi le autostrade sarebbero già state interamente ammortizzate alla fine degli anni ’90. La privatizzazione di Autostrade ha poi innescato una vera “cuccagna” e ne hanno beneficiato anche gli azionisti privati. Èl’obiettivo di massimizzarne il valore che ha indotto alla proroga generalizzata delle concessioni alla fine degli anni ’90 e all’introduzione di un price cap particolarmente favorevole per le concessionarie, per non parlare delle clausole privilegiate inserite nella convenzione della Autostrade.
Non esiste nessun settore dove un governo, o addirittura solo un ministro, possa fare “regali” così imponenti a società (pubbliche o private) mediante la proroga della concessione e la regolazione delle tariffe, senza che gli utenti ne percepiscano nemmeno i costi addizionali.

LE RIVALUTAZIONI MONETARIE

Se [omissis], in pratica si raddoppiano gli extraprofitti: oltre a pagarli come flusso si pagano anche per il loro valore attuale!

UN GIUDIZIO COMPLESSIVO

Il sistema tariffario italiano è chiamato price cap ma in realtà è ben lontano dall’applicare tale modello regolatorio (Coco & Ponti 2006). Mentre si regolano le variazioni delle tariffe non si è proceduto a determinare i livelli congrui delle tariffe iniziali sulla base dei capitali netti residui di ciascuna commissionaria; non si specifica che l’obiettivo della regolamentazione sia quello di pervenire a una remunerazione “congrua” del capitale netto investito (Rab – Regulated Asset Basis), né che si debba riportare la redditività al livello “congruo” alla fine di ogni quinquennio (“claw back” dei profitti), aspetto che è invece la caratteristica essenziale della regolamentazione tramite price cap. Attribuire poi il “rischio traffico” ai concessionari non introduce alcun incentivo all’efficienza ma si è solo rivelato una fonte di “extraprofitti” per le prudentissime previsioni inserite nei piani finanziari.
E’ evidente che la nuova regolamentazione tariffaria è stata pensata principalmente, se non esclusivamente, al fine di massimizzare il ricavo della privatizzazione di Autostrade. A tal fine, non era certo opportuno indicare né un “tetto” alla remunerazione “congrua” sul capitale investito, né come si dovesse determinare il capitale netto investito (Rab). Con la convenzione del ’97 sono state d’altronde concesse alla sola Autostrade anche due clausole di particolare favore: il recupero dell’inflazione (negato alle altre concessionarie) e la limitazione della X al massimo pari all’incremento del traffico nel quinquennio precedente.
La “formula” ha lasciato nel vago i criteri per la determinazione del parametro X aprendo la porta a un elevato grado di arbitrarietà e a “mercanteggiamenti” periodici tra l’Anas e le singole concessionarie. La remunerazione per la qualità, che non trova riscontro né in Francia né in Spagna, appare “fantasiosa” e genera incrementi tariffari che non hanno alcun riscontro nei costi sostenuti per ottenere i miglioramenti qualitativi; anche questa clausola sembra pensata soprattutto per incrementare i ricavi prospettici delle concessionarie ed in particolare di Autostrade.
Nel complesso, i risultati conseguiti dalla regolazione delle autostrade italiane dal 1997 ad oggi sembrano davvero fallimentari. Non si ha evidenza di miglioramenti significativi nell’efficienza di costo, al di là dell’applicazione di sistemi automatici di esazione già avviati nel periodo precedente (e i costi delle nostre concessionarie sembrano molto maggiori di quelli francesi, vedasi paragrafo 3.3). Gli investimentiprevisti, sulla base dei quali le concessionarie ottennero nel 1999 lunghe proroghe delle concessioni (vedasi paragrafo successivo) e incrementi di tariffa, non sono stati realizzati se non in piccola parte. Le concessionarie hanno invece registrato enormi extraprofitti, cioè rendimenti sul capitale investito largamente eccedenti non solo rispetto ad un ragionevole Wacc ma anche rispetto agli stessi generosi livelli previsti nei piani finanziari.

UN VENTENNIO DI “CUCCAGNA”

Tentiamo qui una sintesi di quanto precede, e il termine “cuccagna”, usato dal ministro Di Pietro, sembra il più appropriato per indicare ciò che è accaduto nell’ultimo ventennio.
La costruzione della rete autostradale italiana è stata finanziata pressoché interamente a debito grazie anche alla garanzia con la quale lo Stato assicurava i debiti delle concessionarie perché, sino alla fine degli anni ’90, quasi tutte erano considerate “pubbliche”. Le concessioni erano basate sulla logica della tariffa-remunerazione. I pedaggi dovevano servire a coprire i costi operativi e l’ammortamento dei debiti con i quali veniva finanziato l’investimento. La legge 463 del 1955 prevedeva che l’eventuale eccedenza dei ricavi oltre una contenuta remunerazione del capitale investito venisse devoluta allo Stato; questo principio veniva ribadito e rafforzato ancora nel 1961 con la legge 729 ed in leggi successive, sino al 1993.
Finito il grosso degli investimenti a metà anni ’70, dopo 15-20 anni molte concessionarie erano già state in grado di rimborsare i debiti finanziari e di ottenere una buona remunerazione sul capitale proprio versato (di regola modestissimo). Molte convenzioni avrebbero quindi potuto scadere negli anni ’90 per avvenuto integrale recupero del capitale investito (…). Ma quasi due terzi della rete apparteneva allo Stato tramite l’Iri, e l’Iri aveva bisogno di tutto l’ossigeno che poteva venirgli dalla Autostrade (definita al tempo la “gallina dalle uova d’oro” dell’Iri). Il resto della rete, con la sola eccezione della Torino-Milano, era di proprietà di province e comuni e quindi anch’essa “pubblica”. E’ questo che spiega o giustifica l’incredibile generosità dello Stato-regolatore, che proroga “gratuitamente” concessioni in scadenza, mantiene tariffe elevate e crescenti, accetta l’ammortamento in tariffa delle rivalutazioni monetarie. 
Per massimizzare il ricavo dalla cessione di Autostrade la sua convenzione viene prorogata  (in due tempi) di 35 anni, e lo Stato non può esimersi dal concedere generose proroghe anche alle altre concessionarie allora considerate “pubbliche”, anche se oggi si definiscono “private” e vantano i loro diritti contrattuali dimenticando tutti i “regali” ricevuti in passato proprio in quanto possedute da province e comuni. Ancora per massimizzare il ricavo dalla cessione di Autostrade viene introdotta la “formula” di revisione tariffaria detta price cap che “regala” ad ogni concessionaria il “diritto” di mantenere il livello tariffario del 1999 e accrescerlo secondo la “formula” sino alla scadenza della concessione, senza alcun riferimento a quale fosse nel 1999 il capitale netto residuo da ammortizzare. La fortuna di Gavio è di essere entrato nel settore poco prima del “banchetto” offerto dallo Stato (alle spalle degli utenti) per far incassare all’Iri più soldi possibile.
Insomma, a parte il caso Autostrade, per l’acquisto della quale gli azionisti hanno versato dei soldi veri (tanti o pochi…), quasi tutte le altre concessionarie hanno da tempo più che largamente recuperato e remunerato il (modestissimo) capitale originariamente versato dagli azionisti e i diritti che oggi accampano riflettono essenzialmente “regali” ricevuti a più riprese dallo Stato, nell’ultimo ventennio.
Basta dare un’occhiata ai bilanci delle concessionarie italiane per vedere che il valore residuo dell’autostrada è ormai generalmente una quota modesta dell’attivo, e in molti casi si è quasi azzerato, pur dopo le rivalutazioni monetarie e la capitalizzazione degli interessi e di ogni altra possibile spesa (vedasi il capitolo 5). Se si applica la logica della tariffa-remunerazione i pedaggi dovrebbero dunque essere drasticamente ridotti o azzerati. Si potrebbe anche applicare la tariffa-scommessa, come in Francia, ma gare per l’assegnazione delle concessioni con questa logica non sono mai state fatte, né le concessionarie hanno mai pagato il “biglietto” per questa scommessa. Manca dunque un’origine storica per la legittimità dei diritti che oggi esse accampano.
Quasi tutte le concessionarie, avendo rimborsato ormai i debiti finanziari, si sono trovate, già a partire dagli anni ’90, con flussi di cassa rilevanti e stabilmente crescenti che non avevano opportunità di impiegare nella costruzione di nuove autostrade (…). Le concessionarie “parapubbliche” (controllate da enti locali) hanno investito questa liquidità in strumenti finanziari e diversificando gli investimenti in altri settori (…). Gavio ha invece usato questi ampi flussi di cassa per accrescere la propria quota nel capitale delle partecipate e soprattutto per acquisire altre partecipazioni nel settore; egli ha costruito il suo “impero” con un impegno iniziale minimo di capitale, e ha acquistato in pochi anni tutte le partecipazioni facendo leva sui flussi di cassa delle società stesse (vedasi paragrafo 5.1).
Analogamente, Schemaventotto (la società che controlla Autostrade), tramite l’Opa e il “progetto mediterraneo” (paragrafo 4.7) ha accresciuto la propria quota di Autostrade spa dal 30 al 63 per cento, addossando alla concessionaria (e quindi agli utenti che pagano i pedaggi) l’onere del rimborso del debito contratto per finanziare l’Opa. Schemaventotto ha poi mantenuto il 51 per cento e ha rivenduto il 12 per cento rientrando così in buona parte dei soldi versati all’Iri per il 30 per cento acquistato al momento della privatizzazione.